Altro che strada in salita. È stato un muro contro muro l’avvio del Consiglio europeo straordinario riunito a Bruxelles per cercare un accordo sul prossimo bilancio comunitario e sul Recovery fund per fronteggiare la crisi pandemica. Il vertice è finito poco prima della mezzanotte dopo oltre 13 ore di discussioni, diversi incontri bilaterali e multilaterali e una cena di lavoro. Ma le distanze tra i leader non sono affatto diminuite. Tanto che alle 23 il premier austriaco Sebastian Kurz twittava: “La nostra posizione è che chiaramente rifiutiamo la proposta di un recovery fund che prevede 500 miliardi di aiuti a fondo perduto”.
I principali fronti di scontro sono il volume e l’equilibrio tra sussidi e prestiti del Recovery fund, la governance degli aiuti e le correzioni al bilancio 2021-2027. L’Olanda non cede di un millimetro nel chiedere un voto all’unanimità dei leader europei sui piani di ripresa nazionali. Per sbloccare la trattativa e piegare le resistenze di Mark Rutte, in serata il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha presentato una proposta che consentirebbe di bloccare il versamento degli aiuti se “non c’è consenso tra i governi”. Ancora da stabilire quanti Stati dovrebbero opporsi per arrivare all’attivazione di questo “freno di emergenza“. Ma in ogni caso all’Aja non basta.
Rutte pretende che sia sufficiente il veto di un singolo Paese, proposta inaccettabile per l’Italia come il premier Giuseppe Conte ha spiegato giovedì sera e ha ripetuto a Rutte durante un bilaterale, definendola “incompatibile con i trattati e impraticabile sul piano politico“. A stretto giro è arrivata la dura risposta olandese: l’impraticabilità del voto del Consiglio all’unanimità non “la beviamo“, questa “è una situazione eccezionale, che richiede una solidarietà eccezionale e per la quale si possono trovare soluzioni straordinarie. Occorre essere creativi”. E nemmeno la presa di posizione dello spagnolo Pedro Sanchez contro la richiesta di Rutte ha avuto effetti.
Nel pomeriggio fonti italiane avevano fatto sapere che “la situazione è complessa ma il clima è responsabile e costruttivo“. Certo è che i “frugali” non arretrano rispetto alle richieste dei giorni scorsi e agitano ancora una volta lo spauracchio del rinvio di qualsiasi decisione, mentre i Paesi mediterranei e la Germania di Angela Merkel – che insieme alla Francia ha un ruolo di mediazione – auspicano un’intesa al più presto. “Dobbiamo guardare in faccia la realtà” della crisi “e tutti devono davvero essere disposti a scendere a compromessi in modo da poter ottenere qualcosa di buono per l’Europa”, aveva detto la cancelliera tedesca arrivando al vertice, nel giorno del suo compleanno. Ma “le differenze” tra i leader Ue “sono ancora molto, molto grandi e non possiamo prevedere se riusciremo a raggiungere un risultato”.
La trincea dei frugali: riforme per gli altri, sconti per loro – L’Olanda – capofila del fronte dei frugali che vede schierati anche Austria, Svezia e Danimarca – insiste appunto sul voto all’unanimità dei leader sui piani di ripresa nazionali. E di conseguenza la possibilità di bloccare con un veto l’erogazione di fondi ai Paesi che non facessero riforme secondo i desiderata dell’Aja. La proposta di mediazione arrivata venerdì scorso dal presidente del Consiglio Ue Michel è stata giudicata insufficiente: prevedeva che la Commissione conducesse una valutazione e il Consiglio la votasse a maggioranza qualificata (55% dei Paesi membri, cioè almeno 15 Paesi su 27, che devono rappresentare almeno il 65% della popolazione Ue). All’Aja non basta perché non si fida della neutralità della Commissione, che in passato avrebbe dato prova di usare “due pesi e due misure” nell’applicazione del patto di stabilità.
Quanto alle sovvenzioni a fondo perduto, “se vogliono che le concediamo invece dei prestiti, allora devono dare garanzie molto forti”, ha ribadito il premier Mark Rutte. Appoggiato dal cancelliere austriaco Sebastian Kurz secondo cui “è cruciale” che gli aiuti siano usati per “riforme lungimiranti e non per progetti orientati al passato”. Ai nordici però sta a cuore anche e soprattutto che restino invariati o comunque siano fissati “a un livello sufficiente” gli “sconti” sui versamenti al bilancio Ue di cui hanno goduto finora. Il Consiglio europeo è uno “scambio permanente di migliaia di veti“, ha detto Rutte. E “vedo poco meno del 50% di possibilità di raggiungere un accordo entro domenica”.
La Danimarca dal canto suo chiede – e la proposta è condivisa con gli altri frugali – di ridurre ulteriormente l’ammontare del prossimo bilancio comunitario rispetto alla proposta di compromesso di Charles Michel: 1.050 miliardi e non 1.074. Una cifra su cui si potrebbe raggiungere un accordo, secondo fonti europee. Ma solo a patto che la trattativa sul resto della partita, e quindi sul Recovery Fund, accontenti tutte le parti attorno al tavolo.
La Finlandia poi spinge perché la quota del Recovery fund assegnata sotto forma di sovvenzioni sia molto ridotta rispetto ai 500 miliardi proposti dalla Commissione, aumentando invece i prestiti (che gravano sui debiti pubblici) rispetto ai 250 miliardi ipotizzati. La premier Mette Marin in conferenza stampa ha ricordato anche gli altri nodi: “Gli obiettivi primari della Finlandia per quanto riguarda il Quadro finanziario pluriennale sono una somma totale moderata, garantendo finanziamenti per lo sviluppo agricolo e che il pacchetto includa il meccanismo dello stato di diritto“, inviso per ovvi motivi ai Paesi del blocco di Visegrad.
Il blocco di Visegrad contro il requisito dello Stato di diritto – I Paesi di Visegrad spingono per rivedere l’impianto del Recovery Fund per prendersi una fetta più grande degli aiuti a scapito dell’Italia e degli altri Stati più colpiti dalla pandemia. Per questo il premier polacco Mateusz Morawiecki si è detto contrario alla condizionalità sullo Stato di diritto. “Vedremo l’impatto della pandemia l’anno prossimo, e questo impatto sarà principalmente sul Pil“, per questo il prodotto interno lordo dovrebbe essere “il criterio più importante” per la distribuzione degli aiuti del Recovery Fund, ha rivendicato invece il premier della Repubblica Ceca, Andrej Babis, arrivando al vertice Ue. Varsavia e Praga sono però alleate dell’Italia nella battaglia sugli sconti di cui godono Austria, Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Svezia.
I Paesi mediterranei chiedono coraggio e ambizione – Il fronte del Sud, che vede schierate Francia, Italia e Spagna, continua a puntare a un accordo nelle prossime 48 ore. “Servono risposte per i nostri cittadini”, ha ripetuto il premier Conte. “È un momento di verità e ambizione per l’Europa”, ha rilanciato il presidente francese Emmanuel Macron. “Stiamo vivendo una crisi inedita dal punto di vista sanitario ed economico – ha aggiunto – è in gioco il nostro progetto europeo, sono fiducioso ma prudente porterò il massimo dell’ambizione e insieme alla cancelliera Merkel e al presidente Michel faremo di tutto perché si trovi un accordo”. Arrivare a un’intesa è “un dovere” anche secondo lo spagnolo Sanchez: “Affrontiamo un Consiglio molto importante, direi storico, per l’insieme dei Paesi europei, tutti noi leader europei siamo chiamati a raggiungere un buon accordo”.
Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, si è detto “convinto” che con “coraggio politico sia possibile raggiungere un accordo” anche se è cosciente che “l’incontro sarà difficile”. “Abbiamo lavorato duramente per preparare questo vertice – afferma – So che sarà difficile: non si tratta solo di soldi ma di persone, del futuro dell’Europa, della nostra unità”. Parole simile anche dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen: “Dobbiamo superare questa crisi ed emergere più forti da questa crisi. Tutti i pezzi necessari per un accordo sono sul tavolo. Una soluzione è possibile“. Più duro è stato invece il presidente del parlamento Ue David Sassoli: “Negli anni passati ci hanno detto che quello che andava bene ai ricchi sarebbe andato bene anche ai poveri. Lo sappiamo tutti che non è andata così. Da troppi decenni chi nasce povero, resta povero. Da troppi decenni la mobilità sociale, così importante per la mia generazione, non funziona più. È per questo che il Parlamento chiede un progetto più ambizioso“.
“L’Ue non è un bancomat. Abbiamo qualcosa di più da dire, anche come Stati membri. Abbiamo una grande vocazione: rimettere in piedi le economie”, tutelare “il benessere dei cittadini, le libertà delle opinioni pubbliche e farlo con un disegno che difenda i nostri valori“, ha detto Sassoli rispetto alle proteste dell’Ungheria, contraria all’introduzione nel bilancio pluriennale 2021-27 di un legame tra rispetto dello Stato di diritto e fondi Ue.