Una recente indagine dell’Università di Catania ha dimostrato, per la prima volta, la presenza di microplastiche in frutta e verdura, in particolare nelle mele, nelle pere, nelle patate, nelle carote, nella lattuga e nei broccoli. Il commento parla di “uno scenario mai prima d’ora ipotizzato”, ma, nella mia ignoranza, io mi sarei permesso di ipotizzarlo.
L’argomento lo affrontai già l’anno scorso, evidenziando come le microplastiche finissero in mare e perciò nella catena alimentare. Del resto, un anno prima una ricerca questa volta condotta dall’Università Politecnica delle Marche e dall’Istituto di Scienze Marine del Cnr di Genova confermava la presenza di particelle di plastica nel 25-30% del pescato del Mar Tirreno.
E’ facile pensare che le microplastiche ritrovate in frutta e verdura derivino dal terreno in cui esse si depositano a causa dei vettori, aria e/o acqua. Perciò possiamo ipotizzare questo: che ci sediamo a tavola per consumare un pranzo – vuoi onnivoro o vuoi vegetariano – e ingurgitiamo insieme a proteine, grassi, carboidrati, vitamine, fibre, un tot di derivati dal petrolio, sotto forma di microplastiche, ma anche, spesso, di pesticidi di sintesi. Ah, dimenticavo, se accompagniamo il cibo con acqua (come è ovvio) ingurgiteremo altra plastica, sia che l’acqua sia di rubinetto, sia che sia minerale.
Quali gli effetti sul nostro corpo? Certo non benefici anche se non vi è ancora certezza sulle conseguenze. Plastica dappertutto, quindi, e possiamo tranquillamente (?) affermare che viviamo in un mondo di plastica, in un ennesimo iperoggetto. Del resto, nei parchi degli Usa, famosi anche per la loro residua wilderness, ogni anno piovono mille tonnellate di microplastiche.
Ma possiamo liberarci della plastica? Francamente, allo stato attuale pare un’utopia, pari a quella della transizione “gratuita” all’energia green. Pensate solo a come è stato combattuto il Covid, a quelle mascherine spesso realizzate in fibre plastiche che ciascuno di noi ha indossato giusto per combattere la diffusione del virus. Così come, grazie alla plastica, hanno operato in sicurezza infermieri e dottori.
Per non parlare dell’esplosione del plexiglass per mantenere i distanziamenti e dei prodotti alimentari confezionati per evitare contaminazioni con plastica usa e getta. Insomma, il virus ha dato una accelerata alla produzione di plastica ed acuito la convinzione che di essa non se ne possa fare a meno. Alla faccia dell’illusione del superamento dell’era fossile.
Greenpeace – da sempre attenta all’impatto della plastica sull’ambiente – ha lanciato una petizione per chiedere al Ministero dell’Ambiente il bando delle microplastiche da tutti i prodotti in commercio.