Lo spiraglio che si era aperto a fine mattinata nelle trattative tra i leader europei sul Recovery fund è già chiuso e dopo 12 ore di trattative la seconda giornata di trattative si chiude dopo le 23 senza avere trovato una soluzione al braccio di ferro. “Siamo in una fase di stallo: si sta rivelando molto complicato, più complicato del previsto. Sono tante le questioni su cui stiamo ancora discutendo che non riusciamo a sciogliere“, ha sintetizzato il premier Giuseppe Conte in una diretta Facebook intorno alle 18, parlando di “duro confronto in Ue con Olanda e i Paesi frugali” e spiegando che i fronti aperti vanno dall’ammontare dei sussidi alle verifiche sui piani di spesa nazionali.
La nuova proposta di compromesso portata sul tavolo dei leader dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel per far breccia nella resistenza dell’Olanda non è stata sufficiente per far crollare il muro tra i Paesi “frugali” e il fronte del Sud Europa. Domenica mattina Michel potrebbe fare un altro tentativo, presentando un ulteriore pacchetto negoziale per avvicinare le posizioni. Ma per ora sembra lontanissima una intesa di compromesso per uscire dal pantano della crisi economica causata dal coronavirus emettendo debito comune nel segno della solidarietà. Intorno alle 20.30, negli uffici della delegazione italiana al Consiglio europeo, c’è stato un ulteriore incontro tra il premier Giuseppe Conte con il primo ministro olandese Mark Rutte e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Prima del colloquio a tre, se n’è svolto uno tra i soli Conte e von der Leyen. Al termine dei vertici, i leader si sono riuniti per la cena.
Se un esito sembra non essere all’orizzonte, le “linee rosse” dei fronti in campo sono però molto chiare. Conte e l’omologo spagnolo Pedro Sanchez non intendono accettare il meccanismo del “freno di emergenza“, cioè la possibilità che un singolo Paese ponga il veto sull’esborso dei fondi in seno al Consiglio che verrebbe interpellato in caso di insoddisfazione rispetto al recovery plan di uno dei partner. Il governo italiano, spiegano in serata fonti italiane, ha avanzato una proposta per modificare il meccanismo che può bloccare l’erogazione in fase di attuazione dei fondi del Recovery fund. La proposta, spiegano le stesse fonti, prevede che le decisioni vengano prese “a maggioranza qualificata e non all’unanimità”. Al momento non trapelano altri dettagli.
Non a caso il premier italiano – che nel tardo pomeriggio ha incontrato sia la presidente della Commissione Ursula von der Leyen sia la cancelliera Angela Merkel e Michel – ha anche toccato il tasto dolente delle politiche fiscali aggressive dell’Olanda affermando che “da domani dovrà essere affrontata in tutte le sedi europee una riforma organica della politica fiscale europea“. Sull’altro fronte Mark Rutte non si accontenta dello “sconto” da 1,5 miliardi sul suo contributo al bilancio comunitario, previsto fino ad oggi e confermato nella proposta di Michel: vuole di più, per evitare quello che ritiene un aumento “sproporzionato” della sua quota “come conseguenza della Brexit“. Non solo: i frugali chiedono anche di falcidiare l’ammontare degli aiuti a fondo perduto compresi nella Recovery and resilience facility, il cuore del piano Next Generation Eu proposto dalla Commissione. La Svezia, a nome di tutti e quattro i Paesi frugali, ha presentato una posizione in cui chiede di non andare oltre i 155 miliardi, contro i 325 dell’ultima proposta di Michel.
La proposta di Michel: più prestiti e meno sussidi, “freno di emergenza” sugli esborsi se un Paese ha dubbi – La proposta messa sul tavolo da Michel sabato mattina prevede un (piccolo) taglio dei trasferimenti a fondo perduto – 450 miliardi contro i 500 miliardi proposti dalla Commissione – in cambio di un aumento da 250 a 300 miliardi dei prestiti. Viene però in parallelo rafforzata di 15 miliardi la parte della Recovery and Resilience Facility che prevede allocazioni dirette ai Paesi: aumenta da 310 miliardi a 325. Il taglio riguarda invece la parte dei 190 miliardi di trasferimenti suddivisi tra altri programmi. L’ammontare totale del Recovery Fund resta a 750 miliardi, con un nuovo equilibrio. C’è poi una modifica della chiave di distribuzione, in base alla quale il 60% dei fondi sarebbe distribuito in base a Pil e disoccupazione degli ultimi 5 anni e il 40% in base al calo della crescita nell’ultimo anno. Ci sarebbe poi il freno di emergenza con la possibilità per un Paese di bloccare l’esborso dei fondi e chiedere “entro tre giorni” di portare la questione “senza ritardi” al Consiglio europeo o all’Ecofin, per “affrontare” la preoccupazione “in maniera soddisfacente”. Si tratta a prima vista del potere di veto chiesto da Rutte e del tutto irricevibile per l’Italia. La formulazione però è ambigua: l’Ecofin, che riunisce i ministri delle Finanze dell’Ue, decide principalmente a maggioranza qualificata, tranne che in materia fiscale dove vige l’unanimità; il Consiglio europeo, viceversa, decide principalmente per consenso, anche se può votare all’unanimità o a maggioranza qualificata, a seconda dei casi.
Sono inoltre previsti maggiori sconti sui contributi dovuti al bilancio comunitario dai Paesi nordici. Svezia e Danimarca ottengono 25 milioni in più rispetto alla precedente proposta, passando rispettivamente da 798 a 823 milioni e da 197 a 222 milioni. All’Austria vanno 50 milioni in più, passando da 237 a 287 milioni. Risultano invariati invece rispetto alla proposta precedente di Michel i rebate per Germania e Olanda: 3,6 e 1,5 miliardi rispettivamente. All’Aja non basta nonostante la proposta preveda di mantenere al 20% i costi di raccolta dei dazi doganali per conto dell’Ue, anziché ridurli al 10%, una concessione non da poco per un Paese che ha il porto di Rotterdam, principale punto di ingresso per le merci importate nell’Unione.
Quanto alla questione della condizionalità sullo Stato di diritto – a cui si oppone il blocco di Visegrad che ruota intorno a Polonia e Ungheria – viene legata ad un “approccio basato su prove, oggettività, non discriminazione, pari trattamento per gli Stati membri”, rendendo il testo dell’accordo ancora più stringente, secondo quanto si apprende a Bruxelles. I leader dei quattro Paesi Visegrad – il polacco Mateusz Morawiecki, il ceco Andrej Babis, l’ungherese Viktor Orban e lo slovacco Igor Matovic, si sono riuniti per esaminare la bozza e hanno concordato sulla contrarietà a meccanismi che condizionano l’erogazione dei fondi al rispetto della rule of law.
Conte: “Duro confronto con i frugali” – La trattativa partita dalla proposta della Commissione europea sul Next Generation Eu era ricominciata sabato mattina – dopo la fumata nera di venerdì – con una riunione tra lo stesso Conte, la cancelliera tedesca Merkel, lo spagnolo Sanchez, il francese Emmanuel Macron e il “falco” olandese Rutte, insieme a Michel e alla Von Der Leyen. Poi si è svolta una nuova plenaria nella grande stanza messa a disposizione per consentire ai leader di discutere rispettando il distanziamento e le misure di sicurezza anti Covid. E Michel ha presentato una nuova proposta accolta con favore dall’Olanda che l’ha definita “un passo nella giusta direzione”. Pur precisando che “ci sono molte cose ancora da risolvere. Se ci riusciamo dipenderà dalle prossime 24 ore”. Ma il giro di consultazioni con i capi di Stato organizzato a partire dall’ora di pranzo non ha dato gli esiti sperati. Conte nel tardo pomeriggio, in diretta su Facebook, ha ribadito che si deve “trovare una sintesi perché è nell’interesse di tutti, ma mantenendo le coordinate più importanti, a partire dal fatto che gli strumenti devono essere proporzionati alla crisi ed efficaci”. E ha parlato di un “duro confronto in Ue con Olanda e i Paesi frugali”. “Le partite in discussione sono molteplici”, ha ammesso. “Si sta ancora discutendo l’ammontare totale di Next Generation, perché alcuni Stati, pochi, mettono in discussione l’ammontare dei sussidi. Ci sono aspetti procedurali per le verifiche sull’esecuzione del programma, ci sono aspetti complessi per la distribuzione di competenze tra Commissione, Consiglio e Parlamento, poi c’è il quadro finanziario pluriennale con tutti i vari aspetti come i “rebates” e le altre poste in gioco”.
La battaglia sul veto – Per Conte concedere a un singolo Paese di portare davanti al Consiglio Ue il recovery plan di un altro, con la possibilità estrema di mettere un veto nel caso non si trovi un accordo e si voti, è fuori discussione: “È inaccettabile giuridicamente e politicamente perché altera l’assetto istituzionale europeo”. Non è un caso se il premier italiano ha evocato la riforma della politica fiscale europea, l‘arma di trattativa ritenuta più efficace nel duello con Rutte, e ha fatto anche un riferimento indiretto alla Germania parlando della necessità di “affrontare una volta per tutte surplus commerciali (Berlino non rispetta i paletti europei su questo fronte, ndr) e dumping fiscali, per competere ad armi pari”. Insomma: “L’Italia ha deciso di affrontare, di sua iniziativa, un percorso di riforme che le consentano di correre ma pretenderà una seria politica fiscale comune”.
Nella notte Conte si era detto convinto che “nulla” sia “incrollabile“, nemmeno le resistenze olandesi, e aveva definito “non spendibile” la proposta di compromesso avanzata ieri da Michel spiegando di averne messa in campo un’altra. Che prevede di lasciare alla Commissione la valutazione dei piani di riforma che i singoli Paesi presenteranno per accedere ai fondi, pur con un potere del Consiglio – ovvero degli Stati – di sollecitare interventi in casi particolari.
Negli auspici di Palazzo Chigi resta la chiusura del negoziato già questo weekend, o al massimo in un secondo round all’inizio della prossima settimana, per evitare che i veti contrapposti trascinino il Recovery fund in una palude da cui sarebbe difficile uscire. La consapevolezza è che Rutte è motivato dalle imminenti elezioni in Olanda che lo vedranno impegnato in una difficile sfida ai sovranisti, e venderà cara la pelle.