Come già scritto dal fattoquotidiano.it lo scorso 12 giugno la procura di Potenza è impegnata a capire come l’indagine sull’ex Ilva, ormai sotto sequestro da sei anni e al centro di battaglie legali, sindacali e istituzionali, sia stata condotta con l’arrivo alla guida dell’ufficio inquirente di Carlo Maria Capristo, agli arresti domiciliari per le presunte pressioni su una magistrata. Ma quando Capristo fu arrestato – insieme a un poliziotto suo autista – si comprese che l’inchiesta da quel singolo episodio poteva portare più lontano, in acque ancora più torbide.
Il procuratore di Potenza Francesco Curcio vuole capire come l’indagine sul polo siderurgico, in un settore strategico, sia stata condotta dalla procura di Taranto, sull’inquinamento causato dall’Ilva. Il punto è anche dipanare la tela di imprenditori e politici stavano tessendo per entrare e gestire i circa 3 miliardi che i vari governi avevano annunciato sarebbero stati messi a disposizione per l’ambientalizzazione e la bonifica del siderurgico e la riqualificazione della città martoriata, soprattutto per quanto riguarda il quartiere Tamburi dalle polveri. Il primo passo è stato cercare di chiarire i rapporti che Capristo ha intrattenuto con i commissari nominati dal governo prima della cessione del ramo di azienda ad Arcelor Mittal. Ma soprattutto con un consulente scelto dai commissari: non uno qualsiasi ma l’avvocato Pietro Amara, condannato per corruzione in atti giudiziari e coinvolto in diverse indagini. Il rapporto tra il procuratore e l’avvocato dell’Eni, finito nei guai sentenze pilotate, era noto perché emerso nell’ambito dell’indagine dei pm di Messina.
Nei giorni scorsi il fascicolo di Potenza ha cominciato a diventare più corposo con i verbali racconti dagli investigatori. Uno di questi è quello dell’ex commissario Enrico Laghi, sentito come testimone, a cui è stato chiesto se la Procura di Taranto avesse sponsorizzato mai alcuni consulenti. E se avesse chiesto di accelerare pagamenti a determinati imprenditori. Ma Laghi – secondo quanto riportano Repubblica e Gazzetta del Mezzogiorno – ha negato. L’altro verbale racconto è quello di una magistrata che si era opposta, per prima, al dissequestro dell’altoforno che poi invece fu disposto. Un faro è puntato anche sul patteggiamento che fu rigettato il 30 giugno 2017 perché le pene ritenute inadeguate rispetto alla gravità dei reati. Proprio Piero Amara – di cui alcuni documenti sono stati trovati sotto l’auto di scorta della macchina di Capristo – era arrivato nel Palazzo di giustizia di Taranto come consulente della struttura legale di Ilva in As per partecipare alla cosiddetta “trattativa” con la procura per raggiungere quel patteggiamento che qualche anno prima, il pool di magistrati guidati allora da Franco Sebastio, aveva respinto. Lo staff legale dell’Ilva alza la posta offrendo il pagamento di una sanzione pecuniaria di 3 milioni di euro, 8 mesi di commissariamento giudiziale e 241 milioni di euro di confisca (invece dei 9 proposti nella prima istanza) come profitto del reato da destinare alla bonifica dello stabilimento siderurgico di Taranto. Ma i giudici della Corte d’assise ritengono “le pene concordate con i rappresentati della pubblica accusa” sono “sommamente inadeguate e affatto rispondenti a doverosi canoni di proporzionalità rispetto alla estrema gravità dei fatti oggetto di contestazione”.
Agli atti ci sono poi le dichiarazioni – rilasciate nelle inchieste di Milano e di Perugia, sul caso Palamara – dall’avvocato Giuseppe Calafiore, socio proprio di Amara. Ci sarebbe stato un forte interessamento di Amara, che però nega, perché Capristo riuscisse ad agguantare la poltrona di capo. A questo si aggiunge che a marzo 2017, due società, la “Dagi” e la “Entropia Energy”, di cui Amara è amministratore di fatto, si erano domiciliate a Martina Franca, in provincia di Taranto: l’ipotesi è che il legale puntasse ai lavori.
“Invieremo un esposto al ministro della Giustizia affinché sia fatta luce su tutti gli interrogativi che pesano sulla vita dei cittadini e delle cittadine di Taranto, una città che paga un prezzo drammatico di vite per l’inquinamento – dice il coordinatore nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli – Era il 3 luglio 2019 e pubblicamente chiedevo al Csm di valutare la sospensione dalle sue funzioni il procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo perché alle riunioni in Procura sulla richiesta di patteggiamento nel processo “Ambiente Svenduto” partecipava anche l’avvocato Piero Amara coinvolto nel processo Eni o sistema Siracusa, inchiesta che coinvolse il 2 luglio anche il procuratore Capristo”. “Sia l’avvocato Amara sia il procuratore Capristo – continua l’esponente dei Verdi – furono coinvolti nell’indagine sul depistaggio dell’indagine Eni, mentre il procuratore di Taranto rimase indagato per abuso d’ufficio”. E successivamente archiviato. “Nonostante le vicende giudiziarie di Amara fossero pubbliche, coinvolto nello scandalo delle sentenze pilotate del Consiglio di Stato – continua l’esponente dei Verdi – l’avvocato partecipò a delle riunioni in Procura insieme all’ufficio commissariale per analizzare la vicenda del patteggiamento su Ilva”. “Il Csm non intervenne mai – ricorda Bonelli – e il procuratore Capristo rispose dopo poche ore alla mia richiesta al Csm affermando che l’avvocato Amara non era stato invitato dalla Procura ma dall’ufficio commissariale: perché – chiede Bonelli – una persona indagata per corruzione e poi arrestata poteva partecipare a riunioni negli uffici della Procura che riguardavano l’andamento del processo Ambiente Svenduto? Perché dopo l’arrivo dell’avviso di garanzia a Capristo, il 2 luglio 2019, per abuso d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta Eni, la stessa inchiesta dove era coinvolto l’avvocato Palamara, il Csm non adottò nessun provvedimento?”.