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‘Ndrangheta in Liguria, 18 e 15 anni per Carmelo e Francesco Gullace. Ma nel processo Alchemia solo 10 condanne su 30 richieste

L’inchiesta riguardava la cosca Raso-Gullace-Albanese che da Cittanova, in provincia di Reggio Calabria, si è espansa in Liguria, Piemonte e basso Lazio, e la cosca Gagliostro-Parello di Palmi. Sotto la lente, in particolare, gli interessi verso i subappalti di Terzo Valico e A7

La sentenza del processo Alchemia, emessa ieri a Palmi con rito ordinario, ha condannato Carmelo e Francesco Gullace rispettivamente a 18 e 15 anni per associazione mafiosa. Dietro di loro, però, nessuno. Boss senza cosca. Come a dire che l’espansione delle ‘ndrine in calabria riguarda i singoli mafiosi e non le cosche. Delle trenta condanne, per oltre 300 anni di carcere, chieste dai Pm Giulia Pantano, Gianluca Gelso e dall’aggiunto Gaetano Paci, infatti, il collegio giudicante presieduto da Gianfranco Grillone, Francesca Mirabelli e Federica Giovinazzo a latere, ne ha riconosciute solo 10.

Per capire occorre fare un passo indietro. L’inchiesta Alchemia riguardava la cosca Raso-Gullace-Albanese che da Cittanova, in provincia di Reggio Calabria, si è espansa in Liguria, Piemonte e basso Lazio, e la cosca Gagliostro-Parello di Palmi. Gli interessi, secondo quanto emerso dalle indagini, riguardavano innanzitutto edilizia e movimento terra. Scalpore aveva fatto la costituzione di movimenti Si Tav per salvare i subappalti già aggiudicati nella costruzione del Terzo valico, così come la scoperta dell’affidamento del movimento terra, sempre in subappalto, sulla A7, all’altezza della Galleria Brasile a Genova-Bolzaneto. Trasporto e smaltimento rifiuti speciali non richiedono mezzi diversi e sono quasi considerati un’estensione del movimento terra. Fra le attività del gruppo comparivano anche sale giochi e piattaforme on line, lampadine led e import export di alimentari.

La “diaspora” dei Raso- Gullace-Albanese in Liguria e nel Piemonte è una conseguenza della faida che dal 1964 li ha visti contrapposti ai Facchineri e che nel 1978 si è spostata a Genova, con l’uccisione in una pizzeria di Luigi Facchineri e Giuseppe Gaglianò. Nello stesso anno, con l’uccisione di Giuseppe Raso, termina la faida per dare l’avvio a una nuova fase, quella dell’insabbiamento, ovvero di una nuova filosofia, come emerge dalle intercettazioni dell’inchiesta “Trent’anni di filosofia”.

Di Carmelo Gullace si incomincia a parlare all’inizio degli anni ’80, quando le registrazioni effettuate in carcere da Francesco Miano non vengono accolte al processo per il rapimento di Marco Gatta, nipote del fondatore della Lancia. Gullace, che con il compagno di cella si era attribuito il sequestro, viene assolto per insufficienza di prove. In suo favore era intervenuto il sostituto procuratore generale presso la corte di Cassazione, Guido Cucco, sul giudice che stava istruendo il processo, Sebastiano Sorbello. Cucco lo raggiunse in ufficio e dopo aver chiesto informazioni sulla sua posizione processuale, lo informò che il Gullace era appena stato prosciolto dalla Corte d’assise di Palmi per un triplice omicidio, dopo una carcerazioni preventiva di oltre due anni “patita ingiustamente”. il tentativo di aggiustamento non funzionò e, il mese successivo, Rocco Pronestì e Elio Gullace, fratello di Carmelo, vennero trovati ad aspettare il giudice Sorbello in una macchina rubata, dalla targa falsificata, con una pistola dalla matricola abrasa e il colpo in canna, sotto la leva del cambio.

Da allora le inchieste su Carmelo e la cosca Raso Gullace Albanese si sono susseguite, così come i sequestri di beni, e lo stesso procedimento Alchemia racchiude in sé diverse indagini (Continente, Terra di Siena, Mammasantissima, Trent’anni di filosofia, Carioca), ma mentre in Piemonte la sentenza passata in giudicato del processo Alto Piemonte ha sancito l’esistenza di una locale di ‘ndrangheta a Santhià e a Cavaglià, nel Biellese, in Liguria mancavano pronunciamenti per 416bis.

Pronunciamento che ora è arrivato per Carmelo (e suo fratello Francesco che opera a Cittanova). Ma solo a metà.

Concentrandoci sulla situazione ligure, il tribunale ha ritenuto di assolvere “per non aver commesso il fatto” Giulia Fazzari, moglie di Carmelo Gullace, insieme ai cognati Rita Fazzari e Roberto Orlando. Rita e Roberto sono anche i datori di lavoro di Carmelo, che di professione fa l’operaio. E dal momento che non ha retto in aula la tesi dell’intestazione fittizia delle società delle sorelle Fazzari e di Orlando, il consiglio giudicante ha disposto la restituzione ai legittimi proprietari di tutto quanto sequestrato.

Assolto anche Antonio Fameli, altro nome storico e ricorrente delle inchieste liguri, condannato nel dicembre scorso a 6 anni e 6 mesi per intestazione fittizia e reati tributari, nell’ambito dell’inchiesta Carioca. Meno bene è andata a Orlando Sofio e Marianna Grutteria, imprenditori di Novi Ligure e Serravalle Scrivia, che sono stati condannati rispettivamente a 5 anni e 3 mesi e 3 anni per associazione a delinquere semplice. Sofio, considerato il gestore di fatto delle imprese del gruppo (come la Euroservizi, fittiziamente intestata alla Grutteria e ora confiscata) era colui che si prodigava per far ottenere appalti al gruppo e che intendeva finanziare un movimento Si Tav in contrapposizione ai gruppi che contestavano i lavori per il Terzo valico.

Ancora meno bene è andata a Fabrizio Accame, come a molti degli imputati che hanno scelto il rito abbreviato, dal momento che una lettura diversa ha portato il gup di Reggio Calabria a comminare sei 416bis su 12 imputati. Così Accame, con la sua condanna a 8 anni e 2 mesi, confermata in secondo grado, può essere considerato il solo collaboratore del “boss” Carmelo Gullace in Liguria.

Il processo Alchemia è stato contraddistinto dalla presenza di parti civili, non istituzionali, che hanno dato il loro apporto testimoniando in aula. Una disponibilità non scontata in processi di mafia. Ma la richiesta di risarcimento danni avanzata da Rolando Fazzari, che ha testimoniato contro le sorelle Giulia e Rita e il cognato Carmelo Gullace non è stata accolta. E’ stata accolta, invece, la richiesta di Nino Cento, imprenditore cittanovese estorto, senza però la concessione di una provvisionale. Il che significa che, se vorrà far valere il proprio diritto, ora dovrà intentare causa civile al boss condannato a 15 anni, che vive nel suo stesso paese. “Sono sconcertato – è stato il commento che il procuratore aggiunto Gaetano Paci si è lasciato scappare parlando con gli avvocati – “In altre occasioni con meno elementi sono state inflitte delle condanne”.