Se siete nati dopo il 1992 probabilmente avete letto di Paolo Borsellino sui libri di storia, o forse ve ne ha parlato la maestra alla scuola elementare o qualche professore alle medie. Se siete siciliani, magari palermitani, può essere che anche i vostri genitori vi abbiano raccontato chi era quel magistrato ucciso dalla mafia con la sua scorta il 19 luglio del 1992.
Chi ha avuto la fortuna di conoscere la sorella del giudice, Rita, scomparsa il 15 agosto di due anni fa, ha potuto comprendere chi era Paolo Borsellino grazie ai suoi racconti e alle sue parole. Ma per capire chi è stato bisogna andare a Palermo nei luoghi dove il magistrato è cresciuto umanamente e professionalmente.
La prima tappa del nostro tour è al quartiere la Kalsa. È qui che scopriamo Paolo bambino. In via Vetriera, a pochi passi da uno dei più bei monumenti della città di Palermo, la Chiesa dello Spasimo, in fondo alla strada c’è ancora la casa della famiglia Borsellino. Al piano terra c’era la farmacia che suo padre aveva aperto nel quartiere, mentre al secondo piano abitava Paolo con il fratello Salvatore, le sorelle Adele e Rita, la più piccola, nata il 2 giugno del 1945 e chiamata dal fratello magistrato “la Repubblichina” in onore della festa della Repubblica.
Paolo amava stare sui libri ma anche aiutare chi non ce la faceva: durante la scuola elementare, la casa dei Borsellino, il pomeriggio, si riempiva di ragazzini ai quali dava una mano a fare i compiti. Dopo aver frequentato le scuole dell’obbligo si iscrisse al liceo classico “Giovanni Meli” di Palermo. Durante quegli anni diventò direttore del giornale studentesco “Agorà”. A 22 anni si laureò in Legge.
La seconda tappa la facciamo al Palazzo di Giustizia di Palermo. Entrare nell’ufficio di Paolo Borsellino è emozionante. Nella sua stanza ciò che colpisce è quella copia del “Bacio” di Gustav Klimt, appesa dietro la sua poltrona. Una delle sue agende di pelle marrone sulle quali teneva gli appunti è ancora lì sul tavolo, così come una delle borse dove teneva anche la pistola, perché Borsellino girava armato.
C’è anche una copia della tesi di laurea di Borsellino e il suo tocco (il copricapo) quello indossato al funerale del suo collega, amico e fratello Giovanni Falcone. Vengono i brividi solo a guardarlo. È lì che i due magistrati hanno svolto le indagini che hanno portato al maxiprocesso, al processo più grande della storia della mafia che ha condannato 346 mafiosi.
Ma non si può non parlare dell’ultimo giorno della sua vita perché anche quel 19 luglio 1992, Paolo Borsellino scelse di vivere nonostante sapesse che era arrivato il tritolo per lui. Quella mattina alle cinque riceve una chiamata: è la figlia Fiammetta dalla Thailandia. Alle sette riceve un’altra telefonata che sveglia anche l’altra figlia. Poi decide di andare al mare. Paolo pranza a casa di vecchi amici di famiglia e parlando si confida, senza farsi sentire da Agnese: “È arrivato il tritolo per me”. Alle 16:30 parte e va dalla mamma. Mette nella sua borsa di pelle le carte, il pacchetto di sigarette, il costume e l’agenda rossa. Eccolo in via D’Amelio, dove andava sempre a trovare la mamma e la sorella Rita.
La Fiat Croma attraversa la strada tra le auto parcheggiate a spina di pesce. C’è anche una fila al centro. Arrivati in fondo, dal momento che la via è chiusa, le auto fanno un’inversione. Percorrono qualche metro, e arrivarono esattamente dove oggi c’è un albero d’ulivo che la mamma di Paolo ha voluto al posto del cratere.
Quando il giudice suona al citofono sono le 16,58 e venti secondi. Non fa in tempo a dire: “Paolo sono”. È l’inferno. La Fiat 126 rossa parcheggiata da due giorni davanti alla ringhiera, imbottita di 90 chilogrammi di tritolo e pentrite, esplode. Paolo, Emanuela Loi, Walter Cosina, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli e Agostino Catalano, il capo scorta, muoiono. In pochi minuti arrivano ambulanze, vigili del fuoco, forze dell’ordine. Regna la confusione: la polvere rende tutto più grigio, più opaco, al punto che qualcuno, ancora non sappiamo chi, prende quell’agenda rossa dove Paolo era solito appuntare riflessioni sui suoi colloqui investigativi e la fa sparire.
Ma chi sono quegli uomini e quella donna che muoiono accanto al giudice Paolo? Rita Borsellino ci ha insegnato a non chiamarli gli agenti di scorta ma a nominarli, a dare loro un volto. Agostino, 43 anni, papà di tre bambini, caposcorta, non dovrebbe esserci quel giorno: lui che solitamente protegge padre Bartolomeo Sorge, il 19 luglio è in ferie ma viene richiamato per raggiungere un numero di poliziotti sufficienti per la scorta del giudice.
Claudio, 27 anni, dopo il militare decide di entrare in Polizia: prima svolge il suo servizio alla squadra volanti di Milano, poi su sua richiesta ottiene il trasferimento a Palermo e si fa assegnare al servizio scorte. Quella mattina va a pescare, fino a mezzogiorno, con il fratello Luciano. Alle tre del pomeriggio prende servizio: con il fratello si dà appuntamento per la sera dalla madre, per cenare insieme. Non riusciranno mai più a rivedersi. Alle cinque la mamma chiama Luciano: ha appena saputo della strage.
Emanuela, 24 anni, di Sestu in provincia di Cagliari. Avrebbe voluto fare la maestra ma non trovava lavoro. Quando esce il concorso per entrare in Polizia partecipa insieme alla sorella. La prima lo passa, la seconda no. La mandano a Palermo, la assegnano alla protezione della moglie di Libero Grassi, un commerciante ammazzato dalla mafia perché si è rifiutato di pagare il “pizzo”. Cinque giorni prima della strage viene affidata al giudice, che appena la vede le dice scherzando: “Sono io che devo proteggere te dalle attenzioni dei tuoi colleghi”.
Vincenzo, 22 anni, fidanzato con Vittoria. I suoi genitori e la sorella neanche sanno che fa parte della scorta di Borsellino. L’ha tenuto nascosto per non farli preoccupare. I giorni prima dell’attentato non dorme la notte. Sapeva che sarebbe potuto accadere ma non ha mai fatto un passo indietro. Walter, 31 anni, australiano d’origine e trapiantato in Veneto, dove inizia a lavorare nell’ufficio scorte. Dieci giorni dopo il 23 maggio del 1992 arriva a Palermo.