Per anni, New York è stata definita “la città più sicura d’America”. Nelle ultime settimane, dopo mesi di rigido lockdown, un aumento dei casi di violenza urbana rimette in discussione quella vecchia definizione. 53 persone sono state ferite – quattro sono morte – tra il 10 e il 13 luglio. Ci sono state 64 sparatorie nel weekend del 4 luglio. E se dal 1 gennaio al 12 luglio 2019 c’erano stati in città 394 episodi di criminalità violenta, nello stesso periodo del 2020 i casi sono stati 634. Si tratta del picco più importante degli ultimi due decenni, registrato nel momento in cui molte città d’America sono impegnate – dopo l’omicidio di George Floyd – a ripensare finanziamenti e funzioni dei Dipartimenti di polizia.
Omicidi e sparatorie – L’aumento nei casi di violenza è stato registrato in queste settimane anche a Chicago, Philadelphia, Houston, Atlanta, Denver, Milwaukee e Los Angeles. A New York però ha destato particolare clamore la morte di un bambino di un anno, Davell Gardner, ucciso domenica scorsa da un colpo di pistola mentre con i genitori si trovava a un barbecue organizzato in un parco del quartiere di Bedford-Stuyvesant. Due uomini hanno cominciato a sparare contro il gruppo di persone riunite per il barbacue, ferendo tre uomini e colpendo allo stomaco Davell, che si trovava nella culla accanto alla madre. Trasportato in ospedale, il bambino è morto poco dopo. Due ragazzi di 12 e 15 anni sono stati colpiti e feriti quella stessa domenica, a Harlem e in un altro quartiere di Brooklyn, Crown Heights. I morti complessivi per ferite da arma da fuoco sono stati 28 nel mese di giugno e 20 fino al 12 luglio.
Dal lockdown alla nuova legge sulla cauzione: le ipotesi – L’inizio dell’estate è tradizionalmente un periodo favorevole all’aumento degli episodi di criminalità. In questo caso, c’è però qualcosa di più e di diverso. Il sindaco di New York, Bill de Blasio, ha indicato tra le possibili cause la crisi economica seguita ai mesi di lockdown, oltre allo stress accumulato in queste settimane di forzato isolamento. Povertà, disoccupazione, instabilità abitativa, carenza dei generi di prima necessità – problemi resi più acuti dall’emergenza coronavirus – avrebbero funzionato come detonatore delle violenze. Altri fanno notare che il divieto alle riunioni al chiuso porta a trascorrere più tempo all’esterno – e quindi moltiplica le occasioni di scontro. C’è anche chi offre spiegazioni più tecniche. Il capo della polizia di New York, Dermot F. Shea, ha fatto per esempio notare che la nuova legge sulla cauzione – entrata in vigore il primo gennaio e che riduce il numero di coloro che finiscono in carcere perché non possono pagarla – ha di fatto aumentato le persone socialmente pericolose in circolazione. Il commissioner Shea non ha però fornito prove a sostegno della sua tesi e i dati della stessa polizia di New York sembrano suggerire il contrario. Soltanto sette delle 2100 persone scarcerate in attesa di giudizio per reati connessi all’uso di armi da fuoco sono tornate a delinquere.
Unità di polizia smantellate e taglio dei fondi – C’è chi indica, tra le possibili cause per l’aumento dei reati violenti, ne indica un’altra: e cioè la decisione, da parte dello stesso capo della polizia Shea, di smantellare l’unità di circa 600 poliziotti che operavano in borghese nei 77 distretti cittadini, impegnati soprattutto in indagini legate al crimine violento e al possesso illegale di armi. Negli ultimi anni, questi agenti venivano sempre più considerati un elemento di esasperazione dei conflitti con le varie comunità, più che uno strumento di controllo efficace del territorio; un residuo, insomma, delle vecchie pratiche dello stop and frisk (cioè le perquisizioni senza mandato), che hanno colpito in modo sproporzionatamente alto i giovani neri e ispanici. Alcuni però ora lamentano la scomparsa dalle strade di New York di una forza fondamentale nella prevenzione e repressione del crimine. “Sparatorie e omicidi stanno decisamente aumentando e i nostri leader cittadini hanno deciso che la vigilanza pro-attiva non è più una priorità”, ha dichiarato Patrick J. Lynch, il presidente della “Police Benevolent Association”, il maggior sindacato di polizia di New York.
È evidente che la discussione sulle ragioni per l’aumento di crimini violenti arriva in un momento estremamente delicato: quello delle proteste legate all’assassinio di George Floyd e alle richieste di limitare poteri e finanziamenti ai Dipartimenti di polizia. Nelle scorse settimane lo Stato di New York ha deciso di mettere al bando il chokehold, la pratica di stretta al collo del sospettato, che ha condotto al soffocamento e alla morte di Floyd. Ancora New York, come molti altri Stati nel Paese, ha cancellato una legge che permetteva di mantenere segreto lo stato di servizio di un agente. Contemporaneamente, la città di New York ha promesso di tagliare un miliardo dal budget del Dipartimento di polizia, destinando quei fondi a interventi di carattere sociale a vantaggio dei settori più deboli della popolazione. Sono misure che hanno creato rabbia e scontento tra le migliaia di agenti di polizia della città, che non accettano l’accusa di essere portatori di una cultura largamente razzista e che difendono antichi privilegi finanziari e legali (un agente di polizia gode per esempio della “qualified immunity”, l’immunità in caso di violazioni costituzionali di cui si sia reso responsabile durante l’adempimento delle sue funzioni). Un capo di dipartimento della polizia newyorkese, Terence A. Monahan, ha dichiarato: “Tutta questa retorica sul de-finanziamento della polizia, sull’abolizione della polizia, deve finire”. Monahan ha anche spiegato che molti agenti sarebbero ormai demotivati, stanchi per i continui attacchi, timorosi di essere incriminati per atti assunti nelle operazioni di repressione del crimine.
Le accuse alla polizia – Sulla questione del rialzo della criminalità a New York, come nel resto del Paese, si gioca dunque una precisa battaglia politica. È ovvio che l’ondata recente di omicidi non può essere legata a definanziamenti e riduzioni del personale di polizia – che ancora non ci sono stati. È però altrettanto ovvio che sindacati e capi dei dipartimenti usino la recente esplosione di violenze a mo’ di allarme, prima di un loro possibile ridimensionamento. Il rimpallo di accuse e responsabilità ha raggiunto punte drammatiche. Ci sono infatti politici e militanti dei gruppi anti-razzisti che accusano gli agenti di boicottare consapevolmente le indagini. Eric L. Adams, presidente del municipio di Brooklyn, ha per esempio chiesto al sindaco de Blasio di valutare se “gli agenti ordinari stiano rallentando la loro capacità di risposta” alla criminalità. I sostenitori di questa tesi presentano alcuni dati: gli arresti per reati legati all’uso di armi da fuoco sono diminuiti del 67 per cento nelle ultime quattro settimane, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. La polizia ha effettuato quest’anno arresti nel 23 per cento dei casi di crimini violenti, rispetto al 30 per cento dell’anno scorso.
Si tratta di accuse che i vertici della polizia respingono con decisione. In una nota, il Dipartimento di polizia di New York ha dichiarato che i suoi agenti “sono qui oggi, e lo saranno domani, per svolgere la loro missione essenziale di protezione della vita e della proprietà”. Il minor numero di arresti dipenderebbe piuttosto dalla situazione che si è venuta a creare negli ultimi mesi. Molti agenti e risorse sarebbero stati impiegati per gestire le proteste anti-razziste e per mantenere le regole di distanziamento sociale durante la pandemia. Va inoltre considerato che il coronavirus ha avuto un impatto terribile anche sulle forze di polizia. Nel momento più duro dell’emergenza, oltre settemila agenti erano a casa ammalati. Un complesso di cause che avrebbe indebolito le capacità di indagine e quindi di repressione delle violenze. L’omicidio di Davell Gardner, ucciso a un anno a Bedford-Stuyvesant, è per esempio al momento insoluto. In un’intervista a Fox News, la madre e il padre del bambino – entrambi afro-americani – se la sono anche presi con Black Lives Matter, che catalizzerebbe tutta l’attenzione mediatica, lasciando in secondo piano le esigenze di repressione della criminalità. Un segnale di come la discussione sul rialzo degli episodi di violenza criminale stia diventando uno scontro politico esasperato e senza esclusione di colpi.