L'attore ha scritto su Twitter una lunga lettera per parlare all'amico che non c'è più
Chi legge si prepari, perché c’è da versare qualche lacrima. Anche chi non conosceva personalmente Mattia Torre, scomparso lo scorso anno a 47 anni a causa di un cancro, avrà visto qualcuno dei programmi di cui è stato autore, da Love Bugs a Boris, o dei film di cui è stato sceneggiatore, da Ogni Maledetto Natale a Figli. Valerio Mastandrea, amico di Mattia, ha scritto una lunga lettera pubblicata su Twitter. Più tweet, uno in fila all’altro, per scrivere il dolore che ancora oggi prova. “Amico mio. Certo di farti cosa gradita mi appresto ad un piccolo rendiconto di fatti e notizie a cui non hai avuto accesso in questo ultimo anno. Non mi concedo di chiederti come stai conoscendo l’agnostico affermare, rapido e violento che sostituirebbe la semplice risposta. Mi perdonerai anche il tristo coincidere tra questa mia e la data della tua partenza ma che vuoi, l’uomo vale anche per le sue piccole debolezze una tra tutte, la mia, questa, con cui cerco un lessico che non esiste per sopportare il tempo che più non condividiamo io e te. Per ovvie ragioni non mi soffermerei sull’autunno recentemente trascorso anche se in mare c’è stata la tua ciurma e il navigare mai così dolce e calmo è stato, nonostante dalla cima dell’albero fosse tutto un cannocchiale aspettando l’onda anomala o un John Silver all’improvviso. Ancor più ovvie le ragioni che mi impediscono l’andare indietro, all’estate che santificò il dolore, consacrò l’amore che spargevi e ancora spargi e che sciolse i ghiacci quelli veri, per torrenti di pensieri con cui ci resta di far conto, tutti i giorni fino all’ultimo. L’estate che quando finisce è solita stagione di nostalgie null’altro è stata, la scorsa, una stagione immobile, col cuor d’ognuno fuori, poggiato su un muretto e ognuno che guardava il suo, sperando non si fermasse l’incedere a singhiozzo. Solo a partir dal caldo inverno dunque e dal brindisi che ha dato inizio a questo incredibile anno oggi posso fare rendiconto. Sono certo che avresti utilizzato il 2020, nella sua originale numerica scansione, come anatema durante lite al semaforo, aggettivo per un funzionario della tv pubblica o sostantivo adatto a partita di tennis su cui avevi altissime aspettative. Si era incominciato con un’azione militare Americana di cui avremmo detto come si dice di una mossa azzardatissima in un Risiko di basso livello quando l’obbiettivo è distruggere le armate del tuo stesso colore. Eppure sento che dopo il reciproco sbigottimento a cui saremmo andati incontro con relativa preoccupazione per le sorti dei nostri eredi avresti offerto un’aneddoto di situazione analoga nella Tuscia antica che mi avrebbe pacificato in un istante. I venti giorni successivi sono corsi leggeri, cullati dalla tua barca finalmente in porto accolta a braccia aperte. Il cielo è stato meno bianco di quanto avrebbe dovuto e con una sua brezza primaverile insolita ormai solo per chi ancora pensa che il tempo sia argomento da bar. C’era quindi leggerezza amico mio, ma di quelle mica vere, non rassicuranti, affatto facili. Per chi la nausea la avverte in testa e non al centro, l’aria che tirava era aria da barriera, quando ti copri palle e volto e la botta tarda tanto ad arrivare. E la cosa buffa è che il tiro da vicino non è arrivato mai. Ma il mondo in barriera è rimasto, a coprirsi solo il volto e a respirare meno. Non so come l’avremmo condivisa questa immobile posizione aspettando la pallonata senza sapere da dove sarebbe arrivata. Forse partendo dalla paura del non capire per giungere all’elogio della viltà o forse dal disprezzo per quest’ultima e da un’insana voglia di tornare a votare. So che avrei atteso il tuo personalissimo appuntamento delle 18 in cui avresti tradotto in poche ed estremiste parole, forse due, il dolore per i numeri, lo sconcerto per le storie di persone che se ne vanno da sole e la fatica di dover un giorno fare i conti con tutto questo. Perché la tua idea di futuro oltre che relativa alla domanda “dove si cena domani” è sempre stata mobile, rapida e inarrivabile per tutti. Tu il futuro dovevi sempre fermarti ad aspettarlo. Tu e la tua fretta di andare di fretta. Nei mesi di barriera avremmo misurato il polso all’ansia cercando il battito perché da lei saremmo stati finalmente salvi. L’avremmo sepolta a suon di sms in favore di una paura, unica, sola, di tutti. Andrà tutto bene alla fine lo hanno detto tutti. Chissà come avresti preso lo scippo della tua frase cavallo di battaglia da parte del paese. Sto naufragando nel rimpianto, non era mia intenzione.Vado fiero della mia fragilità ma non fino a questo punto. Ero qui per portarti a conoscenza di quello che è successo mentre eri via. Per dirti quante cose incredibili sarebbero potute essere credibili se parlate insieme. Ero qui ma forse non ci sono più. Almeno come avrei voluto esserci. Sobrio, lucido e alla ricerca di un barlume di verità. Su quello che accade e sul perché non ci sei. Ho voluto solo provare a vedere se riuscivo a far apparire tutto quello che mi è mancato per un anno. E no, non ci sono riuscito e lo dimostra anche il ritorno ad un lessico normale, inutile provare a resistere. Amico mio lontano, vorrei tanto che questo fosse il primo appuntamento per un aggiornarti e un aggiornarmi rigoroso e puntuale ma sappiamo entrambi che non lo sarà. Sono molto fiducioso però sul fatto che nel resto della mia vita io e te troveremo il modo di dirci le milioni di cose che avremmo da dire, nell’unico modo possibile. Il tuo. Daje. Daje tutti”.