In Francia il governo sta valutando possibili restrizioni sull'acquisto di apparati cinesi. Più cauta la Germania, che ha 'selezionato' solo le parti della tecnologia che ritiene sicure
Mentre la Gran Bretagna ha deciso di escludere la cinese Huawei dallo sviluppo del 5G, il resto d’Europa s’interroga sul da farsi. L’esclusione di Huawei e di Zte, leader mondiali nella nuova tecnologia mobile, potrebbe rallentare lo sviluppo delle reti di nuova generazione in un momento in cui il Vecchio continente ha bisogno invece di premere il piede sull’acceleratore. Ma sull’altro piatto della bilancia ci sono valutazioni di affidabilità e preoccupazioni sulla sicurezza.
In Italia, l’ex monopolista Tim è già passato all’azione tagliando fuori la società cinese dal gruppo dei fornitori per le nuove reti wireless. In Francia, il governo sta valutando possibili restrizioni sull’acquisto di apparati Telecom cinesi. Più cauta è invece la Germania, dove la Federal Network Agency ha evidenziato come l’esclusione di Huawei dal mercato possa determinare un rallentamento nella modernizzazione delle reti mobili. “Abbiamo preso tutte le precauzioni necessarie per utilizzare solo tecnologia affidabile – ha spiegato al giornale Frankfurter Allgemeine Zeitung il presidente dell’agenzia di rete, Jochen Homann – A nostro avviso non c’è alcuna ragione per escludere Huawei fin dall’inizio”. La Germania ha praticamente scelto di ‘selezionare’ solo quella parte di tecnologia che ritiene sicura, evitando così di interrompere bruscamente i rapporti commerciali con Huawei e Zte, le due società cinesi leader mondiali nella nuova tecnologia mobile 5G.
Difficile dire quale sarebbe il costo per l’Europa dell’addio a Huawei e Zte. Secondo uno studio della Gsma, associazione che riunisce 750 compagnie telefoniche e costruttori di apparecchiature per la telefonia, rinunciare alle tecnologie cinesi per il 5G potrebbe costare all’Europa fino a 55 miliardi. Ma secondo quanto riferisce il giornale francese Les Echos del 14 luglio, la società di consulenza strategica nelle telecomunicazioni, Strand Consult, ritiene che l’operazione varrebbe appena 3 miliardi, quasi venti volte in meno dell’analisi di Gsma. “In realtà tutto dipende da che cosa si include nel calcolo”, spiega il quotidiano transalpino. “Le compagnie telefoniche hanno una visione massimalista e non tengono in conto il costo naturale della sostituzione delle reti”, spiega un esperto francese.”Un operatore rinnova normalmente le sue antenne ogni 5-7 anni. Cambiare il fornitore in occasione dello svecchiamento della rete non porterebbe sovra-costi importanti. Il solo problema con l’esclusione di Huawei è che questo investimento non sarebbe più spalmato su un lungo arco temporale”.
L’argomento non è da poco, dal momento che Huawei fornisce circa un terzo delle antenne necessarie all’Europa. Per non parlare del fatto che non tutti gli operatori sono disponibili a cambiare fornitore come ha fatto Tim in Italia e in Brasile. In Francia, ad esempio, le due compagnie Bouygues e Sfr non hanno alcuna intenzione di rimettere mano alla rete che è costruita per circa la metà con apparecchiature Huawei. “Secondo un esperto di settore, un parco di antenne costa circa 100mila euro – riprende Les Echos –. Sapendo che i parchi di antenne da circa 20mila tralicci sono ampiamente condivisi, Bouygues ed Sfr dovrebbero sborsare ognuna fra i 500 e i 700 milioni di euro per eliminare tutto il materiale cinese dalle reti. A questo bisogna aggiungere fra il 10 e il 15% del costo di intervento tecnico”. Il conto finale dell’addio a Huawei rischierebbe di quindi essere salato per i quattro operatori francesi soprattutto se confrontato con gli investimenti in corso nello sviluppo delle reti mobili (3 miliardi l’anno) e della banda ultralarga (7 miliardi).
Lo stesso sarebbe per la maggior parte delle compagnie europee: Londra, ad esempio, ha già stimato che lo stop alle forniture cinesi costerà circa due miliardi di sterline. Per non parlare della possibilità che si scatenino anche ritorsioni commerciali. C’è però anche un’altra faccia della medaglia: salutando Huawei e Zte, sia pure in ritardo, l’Europa potrebbe tornare a investire nello sviluppo e nella produzione di tecnologie strategiche generando reddito e occupazione.