Il generale Giuseppe Governale, direttore della Direzione Investigativa Antimafia: "Le regionali in arrivo non sono un evento chiuso, che si svolge in un alveo incontaminato, per questo temiamo che la mafia capitalizzi alle urne il consenso ottenuto attraverso il welfare alternativo alle aziende e ai privati in crisi post Covid"
Un allarme, l’ennesimo, ma questa volta con un obiettivo preciso: le elezioni regionali del 20 e 21 settembre prossimi. Cioè il primo voto in cui le mafie capitalizzeranno gli investimenti compiuti durante l’emergenza coronavirus. Tradotto: indirizzeranno i voti di quelle classi sociali che hanno beneficiato del cosiddetto welfare dei clan durante la crisi. A lanciare l’allerta è il generale Giuseppe Governale, direttore della Direzione Investigativa Antimafia. “Le regionali in arrivo non sono un evento chiuso, che si svolge in un alveo incontaminato, per questo temiamo che la mafia capitalizzi alle urne il consenso ottenuto attraverso il welfare alternativo alle aziende e ai privati in crisi post Covid. Purtroppo lo sappiamo, e la relazione lo dice: quest’anno abbiamo avuto 51 enti locali sciolti per mafia, è il dato più alto dal 1991. Ci sono tantissimi comuni della Calabria e della Sicilia sciolti per la prima volta, altri addirittura più volte. Ciò significa che il problema è patologico. Abbiamo due aziende sanitarie, tutte e due in Calabria, quella di Catanzaro e quella di Reggio Calabria, commissariate per infiltrazione mafiosa e sappiamo bene quanti soldi gestisca la Sanità regionale. Non possiamo non considerare il problema dell’infiltrazione come un problema serio, lo è sempre stato, solo che in epoche passate c’è stata molta insensibilità”, ha detto il capo della Dia a Radio 24 commentando il Rapporto Italia 2020.
La relazione su voti e welfare – Nella relazione annuale della Dia, infatti, si spiega come da un lato le organizzazioni si sono fattecarico di fornire un “welfare alternativo” a quello dello Stato, un “valido e utile mezzo di sostentamento e punto di riferimento sociale”. Dall’altro lavorano per “esacerbare gli animi” in quelle fasce di popolazione che cominciano “a percepire lo stato di povertà a cui stanno andando incontro”. Secondo gli investigatori, dunque, si prospettano due scenari: uno di breve periodo, in cui le organizzazioni punteranno “a consolidare il proprio consenso sociale attraverso forme di assistenzialismo, anche con l’elargizione di prestiti di denaro, da capitalizzare” alle prime elezioni possibili, e uno di medio-lungo periodo, in cui le mafie, e la ‘ndrangheta in particolare, “vorranno ancora più stressare il loro ruolo di player affidabili ed efficaci anche su scala globale”. Con l’intera economia internazionale che avrà un disperato bisogno di liquidità, è il ragionamento, le cosche andranno a confrontarsi con i mercati bisognosi di iniezioni finanziarie: “Non è improbabile – si legge nella relazione della Dia – che aziende di medie e grandi dimensioni possano essere indotte a sfruttare la generale situazione di difficoltà per estromettere altri antagonisti al momento meno competitivi, facendo leva su capitali mafiosi“. E non è improbabile che “altre aziende in difficoltà ricorreranno ai finanziamenti delle cosche”, senza sottovalutare il fatto che la semplificazione delle procedure di appalto “potrebbe favorire l’infiltrazione delle mafie negli apparati amministrativi”. Diversi i settori a rischio indicati dalla Dia. Quello sanitario, innanzitutto, “appetibile” sia per le enormi risorse che saranno a disposizione sia per il controllo sociale che può garantire. Poi ci sono il turismo, la ristorazione e i servizi connessi alla persona, i più colpiti dal Covid, dove la “diffusa mancanza di liquidità espone molti commercianti all’usura“. E, ancora, i fondi che verranno stanziati per il potenziamento di opere e infrastrutture “anche digitali: la rete viaria, le opere di contenimento del rischio idrogeologico, le reti di collegamento telematico, le opere per la riconversione a una green economy, l’intero ciclo del cemento”.