Novara. Il gruppo criminale, grazie ad un centro psicologico ed una fitta rete di attività commerciali, tutte riconducibili alla setta – come due scuole di danza o una scuola di “Spada Celtica”, diverse erboristerie, una bottega di artigianato, e persino una casa editrice – riusciva a reclutare le ignare vittime da introdurre inconsapevolmente nelle dinamiche settarie. Ventisei indagati e perquisizioni in diverse città
Il “Dottore” veniva venerato dai suoi adepti come una sorta di divinità a cui si doveva cieca obbedienza. Ma l’uomo, un 77enne, come altre pseudo guide spirituali non era altro che un manipolatore di menti che abusava sessualmente delle donne, anche giovanissime, che venivano plagiate. È stata una delle vittime a far scattare le indagini della polizia di Novara e dello Sco che hanno portato a 26 perquisizioni personali e sequestri e al disvelamento di quella che gli investigatori chiamano psicosetta. Nel racconto della donna i confini di quella soggezione che per gli inquirenti è stata una riduzione in schiavitù. “Lui” decide tutto, “Lui” decide chi puoi frequentare, dove puoi lavorare. “Lui” sceglie quali ragazze devono farlo divertire. “Lui” sceglie se puoi o non puoi frequentare i nostri “luoghi fatati”. “Lui” è “Lui” . Noi lo chiamiamo “Lui” o “il Dottore”, perché non possiamo nominare il suo nome, non ci è concesso.
L’indagine, coordinata dalla Dda con l’applicazione di un magistrato della Procura di Novara, ha permesso di accertare l’esistenza di questa setta con base operativa nella provincia di Novara e diramazioni nella città di Milano e nel pavese, i cui adepti si sarebbero resi responsabili anche nei confronti di minori e finalizzata alla riduzione in schiavitù. Chi non obbediva veniva isolato dal gruppo. Le indagini, durate oltre due anni, hanno permesso di accertare che il leader della setta delle “bestie” (questo è il nomignolo con il quale si chiamavano tra di loro), aveva come complici donne “meglio definibili delle vere e proprie aguzzine”.
Il gruppo criminale, grazie ad un centro psicologico ed una fitta rete di attività commerciali, tutte riconducibili alla setta – come due scuole di danza o una scuola di “Spada Celtica”, diverse erboristerie, una bottega di artigianato, e persino una casa editrice – riusciva a reclutare le ignare vittime da introdurre inconsapevolmente nelle dinamiche settarie. Le “prescelte”, generalmente giovani ragazze, anche adolescenti o addirittura bambine, come nel caso della denunciante, venivano introdotte alla filosofia della setta ed iniziate a “pratiche magiche”, tra le quali, soprattutto, si annoveravano delle pratiche sessuali, spesso estreme e dolorose, vere e proprie torture, che servivano, nella logica impartita dal leader , ad annullare “l’io pensante”, “accendere il fuoco interiore” ed entrare in un “mondo magico, fantastico e segretissimo”. La setta finiva così per assorbire ogni aspetto della vita delle adepte, sia per quanto riguarda il loro ambito personale che familiare, e persino la loro formazione.
In pratica, così come accaduto perle vittime finora accertate, o i membri della famiglia venivano inglobati nella setta e indotti a sottostare alle volontà del “Dottore”, oppure si imponeva alle adepte di tagliare ogni tipo rapporto con loro. Il “Dottore” decideva l’indirizzo di studi, i corsi formativi o il lavoro che le ragazze dovevano effettuare, quasi sempre presso le attività commerciali legate all’organizzazione con il subdolo fine di vincolarle indissolubilmente al gruppo settario. Tutto questo determinava un vero e proprio isolamento dal mondo esterno che privava le adepte di ogni punto di riferimento, rendendole totalmente dipendenti dalla setta la quale, sebbene dannosa, costituiva a quel punto l’unico sostegno sia economico che morale. Dal racconto di una vittima è emerso che la setta aveva avuto origine a metà degli anni 80 dalla fusione di due gruppi paralleli, la cui sede principale è collocata nella provincia di Novara, il luogo dove dimora abitualmente “il Dottore”.
Il ‘Dottore”, anche dalla sua dimora, era così in grado di gestire, in maniera capillare, ogni movimento delle adepte, indipendentemente dalla loro collocazione sul territorio. L’attività d’indagine ha infatti permesso di verificare che “Lui” , anche quando le stesse si trovavano nei numerosi appartamenti e locali riconducibili alla setta, prevalentemente siti nel milanese o nel pavese, proprio grazie alle sue fedelissime, era in grado di impartire le direttive da osservare in maniera imperativa. Nei circa 30 anni di attività della setta hanno partecipato ed hanno fatto parte di essa, a vario titolo e con vari ruoli, un numero di persone ancora non compiutamente quantificabile, ma certamente elevato. Ulteriori accertamenti sono stati svolti anche sugli aspetti economici, sia per quanto riguarda le attività commerciali legate all’organizzazione, sia in ordine ai versamenti di denaro ai quali erano tenuti i membri, che erano particolarmente esosi nel caso di condizioni economiche agiate. Spesso, pertanto, i nuovi membri venivano opportunamente scelti fra persone facoltose. “Quella portata a compimento nella notte tra sabato e domenica è da ritenersi un’operazione particolarmente complessa per la specificità di un’organizzazione criminale impenetrabile – si legge in una nota della Polizia- tuttora attiva e che, per oltre trent’anni, è riuscita a perseguire le proprie delittuose finalità, cagionando nelle vittime perduranti danni psicologici fino, in alcuni casi, alla permanente compromissione delle facoltà mentali. Nessuno poteva ritenersi immune dal pericolo di immissione nell’organizzazione; anche ragazze dal livello culturale molto elevato ed apparentemente esenti da condizionamenti esterni, rischiavano di essere annesse alla setta qualora individuate come “prede”. Questo perché l’organizzazione si serviva di psicologhe professioniste, a loro volta adepte, le quali, facendo leva su uno stato di fragilità emotiva delle “prede” , anche solo momentaneo, intraprendevano l’opera di indottrinamento ed inclusione, secondo un preciso e dettagliato “schema”: le neofite venivano riempite di attenzioni, di premure e sottoposte ad un vero e proprio “lavaggio del cervello”; ciò le portava ad aprirsi sempre più alle prassi dell’organizzazione, fino ad accettare acriticamente insopportabili violenze e soprusi di ogni genere. Tutto è andato avanti sino a che una delle vittime è stata in grado di superare, in parte, i traumi derivati dalla frequentazione del gruppo, rompendo il muro di silenzio che avvolgeva questo impenetrabile mondo sommerso.