Tutti ribadiscono, dalle opposizioni fino al governo, che occorre ritornare a scuola in sicurezza. In questo momento, con le attuali conoscenze e tecnologie ritengo che sia, realisticamente, impossibile. Occorre accettare il dato di fatto che i bambini e i ragazzi sono portati naturalmente alla socializzazione, al contatto, al gioco e al disinteresse per le regole. Continuare a gingillarci con una richiesta assurda di sicurezza totale nelle scuole è controproducente, perché ci porta a non prendere decisioni realistiche, ma a continuare a parlare di un progetto irrealizzabile.
Il rischio concreto è che si arrivi ai primi di settembre, imbevuti di retorica del diritto allo studio da coniugare con il diritto paralizzante alla sicurezza, senza alcun reale progetto. Il contenzioso del “tutti contro tutti” diverrebbe, a quel punto, potenzialmente deflagrante, col rischio di insegnanti schierati contro i genitori o i presidi. Questi ultimi, a loro volta, in guerra con il ministro e in scontro con tutti gli altri.
In psicologia, spesso, la ricerca di un ideale immaginario è fonte di grande sofferenza, sia per l’individuo che per i gruppi sociali. Soccorriamo stuoli di ragazzine che vorrebbero avere un corpo immaginario perfetto, patinato come quello delle modelle sulle riviste; soffrono, pur essendo delle belle, “normali” ragazze. Dobbiamo curare moltitudini di esseri umani insoddisfatti perché non hanno raggiunto un ideale successo lavorativo.
Anche nel campo della ripresa dell’attività scolastica durante la pandemia prefiggersi un ideale irrealizzabile può divenire fonte di gravi distorsioni e sofferenze. Occorre accettare l’inevitabile. Il diritto allo studio dovrà essere, parzialmente, coartato dal fatto che ci troviamo davanti a una situazione nuova di pandemia. Allo stesso tempo il diritto alla sicurezza sarà messo a dura prova e parzialmente ridotto.
Senza stracciarci le vesti e accusare questo o quello occorre che contemperiamo due esigenze primarie, preparandoci all’inevitabile situazione in cui le scuole potranno scatenare piccoli focolai di coronavirus. Se arriveremo a ciò non dobbiamo essere pronti ad azzannarci a vicenda, accusando questo e quello, ma disposti a collaborare come collettività per limitare i danni.
Le inchieste giudiziarie non aiutano. Scatenano la caccia al colpevole, con un effetto paralizzante sulle scuole che saranno oggetto di indagine, ma anche su tutte le altre strutture didattiche che, pur non essendo sotto valutazione, potrebbero ridurre la loro funzione, per timore di divenire oggetto di giudizio legale.
A mio avviso occorrerebbero autorevolezza e sincerità. Doti che, secondo il parere di molti commentatori, l’attuale Ministra per la giovane età, l’inesperienza, l’appartenenza molto marcata a una parte e il modo di presentarsi, purtroppo non ha.
Una figura autorevole, avvertita dall’opinione pubblica come super partes, dovrebbe affermare che la ripresa delle scuole è un’esigenza primaria, che sarà difficile, ci saranno problemi, molte persone potrebbero ammalarsi, qualcuno morire, con tanti rischi, ma si farà di tutto perché sia possibile. Limitare i danni, cercando di isolare le singole classi, più che i singoli studenti, potrebbe essere una strategia.
L’importante è che tutta la comunità educante, genitori, ragazzi, professori e personale non docente, presidi, ministro e opinione pubblica arrivi alla ripresa scolastica preparata a fare fronte comune e a collaborare. Giungere a settembre illusi di avere tutto perfetto, senza rischi, è un ideale che porterebbe, inevitabilmente, per quanto ho ipotizzato in precedenza, al “tutti contro tutti” e alla paralisi.