Ieri a Palermo in via d’Amelio non si sono viste passerelle di politici ingombranti. C’era chi doveva esserci: il presidente della commissione antimafia, Nicola Morra; il sindaco di Palermo Leoluca Orlando; il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano.
I tempi in cui in quella strada dove hanno ammazzato Paolo Borsellino e gli agenti Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina arrivavano Totò Cuffaro e Clemente Mastella piuttosto che Berlusconi, Renato Schifani, Gianfranco Fini, Gianni Alemanno, Alfredo Mantovano, Francesco Musotto, Franco Marini, Giuliano Amato, Giorgia Meloni, Carlo Vizzini, Diego Cammarata, Roberto Maroni, Italo Bocchino, Fabio Granata, Irene Pivetti, Ignazio La Russa. Ma anche Nicola Mancino, Giovanni Maria Flick, Luciano Violante, Rosy Bindi, Walter Veltroni e Dario Franceschini, sono terminati. Sceglievano di esserci solo per portare per qualche minuto una corona d’alloro. Qualche stretta di mano, due fotografie, le solite parole.
Il mantra delle dichiarazioni retoriche ha lasciato spazio ai testimoni di quella strage e soprattutto ai bambini e ai ragazzi delle scuole che hanno dimostrato di essere gli unici a far camminare davvero sulle loro gambe le idee di Falcone e Borsellino.
La scelta di fare questo passaggio di testimone reale ha radici lontane. E’ stata Rita Borsellino a volere da sempre che in quella strada, che davanti al palazzo dove lei ha abitato con la madre del magistrato, ci fossero dei bambini. E ancora oggi che la sorella di Paolo non c’è più, il Centro studi a lei dedicato, oltre che a Paolo, ha scelto di continuare su questa strada insieme al ministero dell’Istruzione.
In questi giorni Claudio Fava ha scritto: “Basta commemorazioni, seppelliamo i morti una volta per tutte e affrontiamo la vita”. In via d’Amelio, quella che lui chiama commemorazione è da sempre stata una festa con giovani e bambini del Nord e del Sud che s’incontrano, che imparano a conoscere e vivono la storia sulla loro pelle.
Le passerelle non le ho mai amate nemmeno io ma da anni grazie a Rita e al fratello Salvatore, il 19 luglio in via d’Amelio è nelle mani dei bambini, dei giovani, dei ragazzi.
Ieri in via d’Amelio a causa dell’emergenza sanitaria non c’erano i più piccoli ma il ministero dell’Istruzione rappresentato dal capo dipartimento Giovanna Boda e il presidente del Centro studi Vittorio Teresi hanno voluto annunciare i vincitori del concorso “Quel fresco profumo di libertà” proprio sotto quell’albero d’ulivo. Gli studenti erano tutti collegati via Facebook grazie alla diretta. Quel concorso è un modo per vivere il 19 luglio ogni giorno, in tante scuole. E’ un passaggio di testimone necessario, urgente. Se dopo 28 anni dalla strage di via d’Amelio e di Capaci, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone sono ancora dei punti di riferimento lo dobbiamo a Rita Borsellino, che fino alla fine della sua vita ha incontrato migliaia di studenti nelle scuole di ogni parte d’Italia.
Io sono uno di questi. Era il 1995 quando suonai per la prima volta quel campanello di via d’Amelio. Da allora quella strada entrò a far parte della mia vita. Tornato a Crema decisi di raccogliere centinaia di firme tra gli studenti della mia ex scuola per intitolare una piazza ai due magistrati. Il 20 ottobre 1999 a inaugurare largo Falcone e Borsellino, oltre a Rita, c’erano Nino Caponnetto, Gherardo Colombo e Gian Carlo Caselli. Qualche anno più tardi piantammo un albero d’ulivo che nonostante il freddo è resistito. Oggi dopo vent’anni sono altri giovani, altri ragazzi a tornare in quella piazza.
Rita passò a me il testimone. Io lo passai ad altri ragazzi. Altri giovani l’hanno raccolto e continuano a far camminare le idee di Paolo e Giovanni sulle loro gambe. Così si fa la storia.