“Non si fermava più, buttava mazzate. Mentre picchiava i bambini, le mazze si sono spezzate”. Accadeva il 27 gennaio 2019 a Cardito, nel Napoletano, nelle ore immediatamente precedenti alla morte di Giuseppe D., un bambino di 7 anni, massacrato dai colpi di bastone. A processo con l’accusa di averli sferrati c’è l’ex compagno della madre, Valentina Casa. È lei a fornire il racconto di quei momenti in aula, mentre si trova sotto processo insieme all’uomo che le ha ucciso il figlio davanti agli occhi, il 25enne Tony Essobdi Badre e che dal banco degli imputati descrive tutto come “un raptus di follia di 5 minuti”, interrompendo spesso la sua versione dei fatti con i “non ricordo”. Badre risponde dell’omicidio volontario del piccolo Giuseppe, del tentato omicidio della sorella di 8 anni, arrivata in gravi condizioni all’ospedale Santobono e di maltrattamenti nei confronti dei due bambini e della terza sorellina, che oggi ha 5 anni. Valentina Casa, 30 anni, è invece accusata di non avere fatto nulla per fermare le frequenti violenze del compagno e di non avere soccorso immediatamente i suoi figli quel giorno. Mentre il figlio moriva sul divano, lei gli passava la pomata sul volto, senza chiamare i soccorsi.

I RACCONTI IN AULA – Nell’aula 114 del tribunale gli imputati hanno dovuto rispondere alle domande del pm Fabio Sozio (che da gennaio sostituisce il pm Paola Izzo), della giuria e degli avvocati. Numerose sono state, nel corso dell’interrogatorio durato circa due ore, le contestazioni avanzate dal sostituto procuratore presso il tribunale di Napoli Nord a Badre in relazione alle sue dichiarazioni, ai contenuti delle intercettazioni e dei messaggi acquisti durante le indagini. “Mi sono messo nel letto per rilassarmi un po’ verso le 8 e qualcosa… – ha raccontato Badre – sentii che saltavano sul letto”. Poi l’impensabile: “Mi è venuto in cameretta (Giuseppe, ndr), dopo aver visto la struttura del letto rotta ed è come se in quel momento mi si è spento il cervello. Li picchiai, ma non ho mai voluto ammazzarli”.

LE ACCUSE DELLA MADRE – Gli stessi attimi descritti dalla mamma dei bambini. “In quel momento sembrava un diavolo – ha raccontato Valentina Casa, riferendosi all’ex compagno – picchiava i bambini anche quando sono caduti”. Poi, secondo quanto riferito dalla donna, il 25enne se l’è presa anche con lei: “Mi ha tirato i capelli e mi ha dato un morso dietro i capelli”. La mamma di Giuseppe ha anche ricordato un episodio avvenuto il giorno prima della morte del figlio: “Sabato sera aveva tirato i capelli alla bambina (la sorellina di Giuseppe, ndr) e gli erano rimaste le ciocche in mano”. In aula si è cercato di far luce anche sulle percosse che Giuseppe avrebbe subìto il giorno prima dell’omicidio, sempre dal patrigno, mentre i due si trovavano in strada. Ed anche in questo caso, l’imputato ha dichiarato di non ricordare l’accaduto. Ma che gli episodi di violenza fossero all’ordine del giorno, e che riguardassero anche la sorella più grande di Giuseppe, lo conferma il fatto che la piccola avesse chiesto aiuto alle maestre mesi prima dell’omicidio.

LE VIOLENZE – A raccontarlo, a novembre 2019, davanti alla Terza Corte di Assise di Napoli, sollecitata dall’avvocato di parte civile Clara Niola, è stata la neuropsichiatra infantile Carmelinda Falco, che ha riferito in aula quanto la stessa bambina le ha confidato. Intanto il drammatico racconto degli ultimi istanti di vita del fratello: “Ho visto Giuseppe sul divano, non riusciva a parlare, aveva gli occhi un po’ aperti e un po’ chiusi. Gli ho detto ‘respira’”. E poi dell’atteggiamento della madre (in quella e in altre circostanze), che mai avrebbe difeso fisicamente i figli, limitandosi anche il giorno del massacro a dire all’ex compagno: “Basta, li stai uccidendo”. Il pm Paola Izzo l’ha interrogata per ore prima che cedesse e raccontasse la verità, molto diversa da quella fornita nei primi istanti (“non mi sono accorta di nulla”) e da quella del convivente (“sono caduti dalle scale”), più volte cambiata, fino a diventare “forse l’ho colpito con un calcio, una mazza di legno…non so bene”.

LASCIATO AGONIZZANTE SUL DIVANO – Nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip è ricostruito altro. Dopo aver colpito i bambini con calci, pugni e con il manico della scopa, Giuseppe è caduto. Sul pavimento ha cercato di parare i colpi con le mani, ma Bedra ha continuato a infierire. Alla fine i fratellini erano pieni di lividi e ferite. Il 25enne è uscito per andare in farmacia a comprare una pomata, mentre la madre ha adagiato il bambino sul divano. E il piccolo è rimasto lì, gonfio. Piangeva e non riusciva a muoversi. Giuseppe – sosteneva il gip – è stato lasciato sul divano, a consumarsi in una lenta agonia. La donna ha cancellato le tracce del pestaggio, pulendo il sangue, invece di chiamare i soccorsi. Solo alle 10, Bedra ha telefonato alla sorella e, un paio di ore dopo, la madre e il fratello sono arrivati nell’appartamento e si sono resi conto della gravità della situazione. L’ambulanza è stata chiamata proprio dai familiari di Bedra alle 12.30, oltre tre ore dopo l’inizio del pestaggio. E anche in quel caso ci sarebbe stata un’omissione, perché agli operatori è stato detto che i due bambini erano stati investiti da un’auto. Per il bambino non c’è stato nulla da fare, mentre la sorella è stata portata in ospedale d’urgenza. Aveva tumefazioni al volto e al cuoio capelluto, ecchimosi e lividi al tronco ed era shock emotivo. Ma nessuna lesione degli organi interni. Il giorno dopo il ricovero, le parole del primario del pronto soccorso dell’ospedale Santobono, Vincenzo Tipo: “Sono 30 anni che faccio questa professione e pensavo di aver visto tutto, ma non immaginavo di poter vedere quello che ho visto ieri”.

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