Cultura

Chiara Ferragni agli Uffizi per avvicinare i giovani: il rischio è di perdere la propria identità

“Le stories di Chiara Ferragni sugli Uffizi hanno avuto 550mila apprezzamenti in poche ore, per lo più da persone che per la prima volta stabilivano una relazione emozionale col nostro patrimonio. E sotto il nostro post, nell’arco di 24 ore, abbiamo avuto 2mila critiche, ma anche 30mila like: se fosse una partita di calcio, sarebbe finita con un 15 a 1”.

E’ innegabile. Eike Schmidt, il Direttore degli Uffizi, è un giovanilista. Dopo l’apertura di un account su TikTok, ecco Chiara Ferragni, immortalata davanti alla Nascita di Venere di Botticelli in uno scatto condiviso sui social del museo.

“Noi abbiamo una visione democratica del museo: le nostre collezioni appartengono a tutti, non solo a un’autoproclamata élite culturale, ma soprattutto alle giovani generazioni. Anche perché, se i giovani non stabiliscono oggi una relazione col patrimonio culturale, è improbabile che in futuro, quando saranno loro i nuovi amministratori, vorranno investire in cultura. Per questo è importante usare il loro linguaggio, intercettare la loro ironia e il loro potenziale creativo”.

Nell’intervista a La Repubblica il Direttore spiega la sua idea di museo. Legittimamente. Perché guida uno dei luoghi della cultura più importanti del Paese. Finora con risultati più che lusinghieri, per quel che riguarda gli ingressi. La convinzione di Schmidt è che un’influencer internazionale di fronte ad una tela-simbolo possa veicolare l’interesse dei giovani. Allo stesso modo di Sfera Ebbasta, che nel 2019, nel video ufficiale di Calipso, cantata insieme a Fabri Fibra e Mahmood, appare sulla terrazza panoramica del Castello di Baia, nel quale ha sede il Museo archeologico dei Campi Flegrei.

Medesime motivazioni per la scelta della Direzione del Museo Egizio di Torino di concedere la Galleria dei Re per la clip di Dorado, il nuovo brano di Mahmood, con la collaborazione di Feid e Sfera Ebbasta. Anche Calipso ha avuto un grande successo. Così come lo sta avendo Dorado.

Insomma se il traguardo per le prestigiose sedi espositive erano i like e le visualizzazioni, c’è da essere più che soddisfatti. Tanto più che la gran parte di quegli apprezzamenti virtuali è di giovani e giovanissimi. Quelle fasce di cittadini del futuro, anche recente, che molti direttori di luoghi della cultura vogliono attrarre. Usando il loro linguaggio, intercettando la loro ironia e il loro potenziale creativo, sostiene Schmidt.

Il dubbio però che queste operazioni non siano così utili viene. S’insinua, tra le parole dei testi di Sfera Ebbasta e Mahmood e la posa della Ferragni. Già, perché è tutt’altro che consequenziale pensare che vedere sullo sfondo il capolavoro di Botticelli, oppure il Castello di Baia e la sala al piano terra del Museo Egizio equivalga ad interessarsene, in qualche modo. A voler andarci. Il dubbio che poco o niente interessi alla gran parte di quei giovani che invece si vorrebbero attrarre, dei capolavori degli Uffizi e di quelli dell’Egizio oppure dell’Archeologico, esiste. E’ reale.

Non è snobismo culturale provocato dall’appartenza ad una “autoproclamata èlite”. E’ piuttosto semplice osservazione. Non è un’avversione ideologica, suggerita da un’idea antidemocratica del Museo. E’ una considerazione ispirata dalla volontà che ogni luogo della cultura possa realmente essere aperto e inclusivo. Che possa attrarre piuttosto che respingere. Ma per questo non servono aperitivi e lezioni di yoga al Museo, né sfilate di moda in Accademia.

E neppure la vendita di mozzarelle e le cene di gala all’interno di aree archeologiche. Perché le contaminazioni sono necessarie, a differenza degli stravolgimenti. Si tratta di rispetto dei ruoli. Di riguardo dei luoghi. Di considerazione della loro originaria funzione. Gli allestimenti museali non possono essere quelli ottocenteschi, con le vetrine in legno e le “targhette” con didascalie ormai illeggibili.

I pannelli illustrativi delle aree archeologiche, quando ci sono, adottano criteri che nella loro difformità dovrebbero assicurane la leggibilità. L’adeguamento alle mutate esigenze è un obbligo. Prima di tutto per assolvere alla propria funzione. Che, in ogni caso, deve continuare a definire un luogo piuttosto che un altro. Una palestra non potrà mai essere un ristorante, anche se verranno sistemati dei tavoli e serviti dei cibi. Un campo di calcio, mai una pista per l’atletica, anche se ci si correrà durante il riscaldamento pre-partita.

Alla stessa maniera un Museo non può che essere un’istituzione che offre alla vista frammenti di età differenti. In ogni caso funzionali alla conoscenza. Non diversamente da una area archeologica. Anche se sarebbe utile che ogni luogo della cultura offrisse dei servizi diversificati all’utenza.

Pensare che Musei, aree archeologiche e palazzi storici possano incrementare il loro appeal, soprattutto sui giovani, ricorrendo ad attori, cantanti e influencer, è un’operazione a perdere. Il più delle volte uno spot esclusivamente per la celebrità di turno. Un buon professore riesce a rendere attrattive le sue lezioni anche senza invitare un calciatore famoso oppure ricorrere ai social. Diventando protagonista nei fatti. Non si capisce perché un direttore non possa calamitare interesse sul suo Museo o area archeologica semplicemente presentandolo. Offrendolo alla fruizione. Magari facendo un passo indietro, almeno ogni tanto.

I giovani vanno intercettati, è evidente. Ma senza perdere la propria identità. Qualcuno direbbe: il proprio ruolo. Altrimenti varrebbe la pena che si selezionassero i direttori osservando la loro capacità di preparare cocktail. Che a molti giovani piacciono, si sa. Possibile che non sia possibile attrarre senza stravolgere?