L'associazione ambientalista lancia l'allarme sullo stato di erosione delle coste in Italia. Al centro il consumo di suolo con la costruzione di nuove infrastrutture fino ai cambiamenti climatici
Quasi il 50% delle nostre coste sabbiose è attualmente soggetto a erosione, un fenomeno che negli ultimi 50 anni ha fatto scomparire 40 milioni di metri quadrati di spiagge. Sono stati persi 23 metri di profondità di arenile su 1750 chilometri di litorale. A lanciare l’allarme su questa emergenza ambientale è Legambiente, che presenta oggi uno studio sullo stato di erosione delle coste in Italia e inaugura il portale dell’Osservatorio Paesaggi Costieri Italiani, piattaforma dove poter consultare analisi e risultati di ricerche scientifiche. Legambiente ha elaborato un quadro dell’evoluzione dell’erosione delle nostre coste tra il 1970 e il 2020 (partendo dagli ultimi dati pubblicati dal Ministero dell’Ambiente in collaborazione con Ispra e con le 15 Regioni marittime) e un’analisi delle cause principali, da attribuire ai cambiamenti molto rilevanti che hanno coinvolto negli ultimi decenni le coste. A partire dal consumo di suolo (soprattutto in Sardegna, Sicilia, Puglia e Calabria), con la costruzione di edifici e di nuove opere infrastrutturali portuali o di opere rigide a difesa dei litorali, fino ad arrivare ai fenomeni legati ai cambiamenti climatici in atto, che rischiano di peggiorare il fenomeno.
LO STUDIO – Tornando ai dati, elaborati dal geologo marino Diego Paltrinieri per Legambiente, su circa 8mila chilometri di litorale, le coste basse sabbiose (che sono quelle sostanzialmente erodibili) coprono 3.770 chilometri, di cui 1.750 chilometri sono attualmente in erosione: per un tasso di erosione del 46,4%. Negli ultimi 50 anni, i litorali in erosione sono triplicati. I dati evidenziano inoltre un profondo dislivello tra Nord e Sud del paese, con picchi fino al 60% nelle regioni di Sicilia e Calabria. Le opere marittime connesse al sistema portuale nazionale si sviluppano per una lunghezza complessiva di circa 2.250 chilometri (dati Ispra 2010). Questa profonda artificializzazione del litorale ha innescato fenomeni di erosione dovuti in sostanza alla alterazione della naturale dinamica litoranea.
GLI INTERVENTI DI RISPOSTA AL FENOMENO – “A questi fenomeni – commenta Sebastiano Venneri, responsabile turismo e innovazione territoriale di Legambiente – si è risposto con una serie a catena di opere rigide. Ci sono circa 1.300 chilometri di opere rigide che ingabbiano le nostre spiagge e che hanno risolto poco e solo temporaneamente i problemi locali, spostando invece l’erosione nel senso di scorrimento della corrente longitudinale litoranea di fondo”. Sono state realizzate vere e proprie murature del litorale dovute alla presenza massiccia di pennelli, come sulla costa del Veneto, dove se ne contano più di 120 su di un tratto lungo 12 chilometri (Pellestrina), mentre in Puglia se ne contano oltre 200 su 20 chilometri. Tutte le opere costruite hanno l’obiettivo di fermare il moto delle onde ma la movimentazione sostanziale dei sedimenti del litorale, secondo gli esperti “sembra avvenire più in conseguenza della corrente longitudinale di fondo”. Un fenomeno tuttora da approfondire.
LA ‘RICOSTRUZIONE’ DELLE SPIAGGE – Sulle opere che hanno riguardato il tratto di costa tra Margherita di Savoia e Manfredonia, per esempio, è la stessa Regione Puglia ad aver tratto conclusioni, riportate anche in documenti ufficiali: “In questo tratto sono state realizzate l’80% delle opere di protezione della costa, con risultati modesti, se non nulli”. Tutto questo mentre, da almeno 30 anni, sono stati realizzati numerosi interventi cosiddetti ‘morbidi’, cioè di ricostituzione delle spiagge mediante ripascimenti, in particolare negli ultimi 20 anni mediante dragaggi di sabbie marine relitte. “Sarebbe da approfondire in dettaglio la durata e la stabilità di questi ripascimenti – sottolinea Venneri – che spesso hanno interessato aree costiere già protette da opere rigide”. Secondo l’esperto “prima di effettuare i necessari ripascimenti sarebbe necessario recuperare il naturale equilibrio del sistema costiero”.
IL CASO DI MESSINA – Non è un caso se proprio da Legambiente è partito a giugno un ricorso inviato al presidente della Regione Sicilia, Nello Musumeci, accompagnato da un dossier destinato alle scrivanie del ministro dell’Ambiente e della Corte dei Conti, elaborato per chiedere l’annullamento dei bandi per il ‘contratto di costa’, progetto per combattere l’erosione costiera nel Messinese. Secondo Legambiente, l’appalto da cinque milioni già partito “si occupa per la maggior parte di spostare sabbia dalle spiagge verso le discariche, e non di ricostituire il litorale”.
L’OSSERVATORIO – La prima iniziativa dell’Osservatorio è il lancio di un concorso fotografico sul tema dell’erosione costiera. La partecipazione è gratuita e aperta a professionisti e dilettanti, di ogni età e nazionalità. I concorrenti devono presentare, entro il 31 dicembre 2020, un progetto di racconto fotografico composto da un massimo di 5 immagini legate tra loro secondo un criterio scelto dall’autore. “È urgente che l’Italia approvi un piano nazionale di adattamento al clima, come hanno già fatto tutti gli altri grandi paesi europei – ha dichiarato Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – che consideri le coste tra le priorità e che supporti i Comuni nella pianificazione delle soluzioni e negli investimenti, per superare la logica dell’emergenza e degli interventi invasivi, che non fanno che peggiorare le situazioni e scomparire le spiagge”.