C’è lo storico via libera all’emissione di debito comune su larga scala, punto su cui da quattro mesi si batteva il fronte dei Paesi “ambiziosi” capeggiati da Parigi e Roma. C’è un ridimensionamento dell’ammontare complessivo degli aiuti a fondo perduto, ma non per l’Italia, che è favorita dalla modifica dei criteri di ripartizione ed è l’unico Stato che si appresta a passare da contributore netto a beneficiario netto. Aumenta da 560 a 672,5 miliardi la portata della Recovery and resilience facility, cuore dell’intervento europeo per la ripresa. In compenso scompare il Solvency instrument per la ricapitalizzazione delle imprese sane andate in crisi causa Covid. Infine, resta il problema dei tempi di erogazione delle risorse.
Tra i pro e i contro dell‘accordo firmato dal Consiglio europeo più lungo di sempre, è questo il principale tasto dolente per il governo italiano: i primi anticipi arriveranno nel 2021. In compenso, come ha rivendicato il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, è stata inserita la possibilità di farsi rimborsare “anche le spese fatte a partire da febbraio di quest’anno, purché coerenti con il programma generale”.
La svolta del debito comune (a tempo) – Il punto che segna la svolta è alla voce A3 del documento conclusivo approvato dai 27 leader: “Per fornire all’Unione i mezzi necessari per rispondere alle sfide poste dalla pandemia di Covid, la Commissione sarà autorizzata a prendere a prestito fondi sul mercato dei capitali a nome dell’Ue”. Fino a un totale di 750 miliardi. Non si tratta ovviamente di mutualizzazione dei debiti passati, ma è un’apertura al debito comune per ricavare – alle ottime condizioni di finanziamento disponibili per l’esecutivo Ue – risorse da ripartire in misura prevalente ai Paesi più colpiti dalla pandemia. Concreta solidarietà europea, seppure a tempo visto che si parla di “poteri chiaramente limitati nella portata, durata e obiettivo”. Comunque un risultato inimmaginabile fino a pochi mesi fa. Non a caso Paolo Gentiloni ha parlato della “più importante decisione economica dall’introduzione dell’euro”. Il debito dovrà essere rimborsato entro il 2058.
L’Italia diventa beneficiario netto – Rispetto alla proposta Next Generation Eu presentata a maggio dalla Commissione, come è noto, l’ammontare dei trasferimenti ai Paesi – soldi che non peseranno sui debiti pubblici nazionali – scende da 500 a 390 miliardi e quello dei prestiti sale da 250 a 360 miliardi, mantenendo il totale a 750 miliardi. Cambia anche la ripartizione dei fondi per la ripresa. La Recovery facility – il cuore del piano, che sarà allocato direttamente ai Paesi secondo una precisa chiave di ripartizione – sale a 672,5 miliardi di cui 312,5 di aiuti a fondo perduto (erano 310 nella proposta iniziale) e sarà impegnato per il 70% nel 2021 e 2022 sulla base dei criteri già proposti dalla Commissione, basati sull’impatto del Covid, il tasso di disoccupazione e il pil pro capite. Il 30% arriverà nel 2023, in base alla perdita di pil nel 2020 e 2021: un requisito che avvantaggia l’Italia, che stando alle previsioni subirà l’impatto economico più pesante. E’ per questo che il totale delle risorse per la Penisola sale a 208,8 miliardi tra contributi (127) e prestiti (82), rendendola beneficiario netto della partecipazione all’Unione mentre fino a quest’anno ha versato al bilancio comune circa 4 miliardi in più rispetto ai fondi che riceveva.
L’Olanda, capofila dei “frugali”, resta contributore netto al prossimo bilancio ma – nonostante la forte opposizione del Parlamento europeo – incassa un aumento da 1,5 a 1,9 miliardi del suo sconto (rebate) sul contributo dovuto in relazione al pil e anche il ritocco dal 20 al 25% dell’aggio che può trattenere sulla raccolta dei dazi doganali. Risorse non indifferenti visto che l’Aja riscuote i dazi nel porto di Rotterdam, il più importante d’Europa per il traffico merci.
Le modifiche sui fondi rispetto alla proposta della Commissione – In parallelo con l’aumento della Recovery facility si riducono i trasferimenti spacchettati tra i programmi: da 190 a 77,5 miliardi. Ne fanno le spese il Just transition fund per la transizione verde – che il governo italiano conta di utilizzare per la riconversione dell’Ilva – che passa da 30 a 10 miliardi, il programma per la ricerca HorizonEurope che passa da 13,5 a 5 miliardi e i fondi per lo sviluppo rurale, dimezzati rispetto ai 15 miliardi iniziali, mentre saltano del tutto Eu4Health, che avrebbe dovuto rafforzare con 9,4 miliardi la sicurezza sanitaria, il Solvency instrument da 26 miliardi e i 5 miliardi destinati a sviluppo e cooperazione. Resta inteso che i piani nazionali di ripresa potranno prevedere riforme in tutti questi ambiti e chiedere che siano finanziate. Per quanto riguarda gli obiettivi legati al cambiamento climatico, una delle priorità individuate dalla Commissione, è passata una clausola che vincola a destinare il 30% dei fondi di Next generation Eu e del prossimo bilancio europeo (1.074 miliardi totali) a progetti compatibili con il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050.
Il nodo dei tempi: primi soldi nel 2021. Ma passa il rimborso delle spese 2020 – I leader, durante le oltre 90 ore di tour de force negoziale, non hanno però affrontato quello che Giuseppe Conte nei mesi scorsi aveva più volte indicato come uno degli obiettivi cruciali: individuare un meccanismo “ponte” (bridge) che anticipasse l’arrivo dei soldi a quest’anno. Perché nei prossimi mesi le uscite per ammortizzatori sociali e interventi di sostegno alle imprese saranno ancora ingenti e a fine mese è attesa una nuova richiesta di scostamento di bilancio da circa 20 miliardi, che porterà a 100 miliardi il deficit aggiuntivo messo in campo per far fronte all’impatto sanitario ed economico del virus.
Il documento conclusivo approvato al Consiglio non prevede “ponti”. Nei prossimi mesi tutti i Paesi dovranno presentare alla Commissione i Recovery and resilience plan e il primo esborso arriverà nel 2021. Sarà un anticipo del 10% sulla Recovery and resilience facility. Visto che all’Italia, stando ai calcoli della delegazione governativa, spetteranno 63,5 miliardi di sussidi a valere su quel fondo, l’anticipo sarà di circa 6,3 miliardi. In più, però c’è un’altra “novità assoluta”, come spiegato da Gualtieri: sarà possibile “considerare anche le spese fatte a partire da febbraio di quest’anno” e chiedere a Bruxelles di rimborsarle a valere sul fondo per la ripresa.