In quel caso era inverno e sul tavolo dei leader europei – allora solo quindici – riuniti a Nizza c’era uno dei trattati fondamentali dell’Unione, quello sulle riforme istituzionali da attuare in vista dell’adesione di altri Stati. “Il vertice più lungo e tormentato nella storia dell’Unione”, scrivevano i giornali l’11 dicembre, dopo la maratona di quattro giorni che era servita per arrivare alla firma all’alba del 10 dicembre. Vent’anni dopo, in piena estate, il Consiglio europeo straordinario sul fondo per la ripresa delle economie europee dallo choc del coronavirus ha battuto quel record. E a dire il vero la durata dei negoziati non è l’unica somiglianza tra le due riunioni.
Anche allora lo scontro tra delegazioni fu durissimo e le posizioni apparentemente inconciliabili. E anche allora c’era un Paese particolarmente riottoso: la Gran Bretagna, che stavolta a Bruxelles non c’è perché dall’Unione è ufficialmente uscita lo scorso 31 gennaio. Il vertice non finì bene. E le conseguenze pesano ancora oggi: è da lì che nasce, per esempio, la sostanziale impotenza dell’Unione riguardo ai “paradisi fiscali” all’interno dei suoi confini.
Il rifiuto britannico del voto a maggioranza qualificata sul fisco – “Il presidente della Commissione europea Romano Prodi si è dichiarato anche “molto deluso” per lo “spirito di chiusura” dimostrato da alcune delegazioni nel corso del lunghissimo negoziato”, si legge nelle cronache dell’epoca. “Gli episodi che hanno trascinato la trattativa oltre ogni limite temporale sono stati tanti e Prodi non ne ha citato esplicitamente nessuno. Ma gli osservatori hanno unanimemente collegato le parole del presidente della Commissione al rifiuto britannico di accettare il passaggio alla maggioranza qualificata nelle votazioni sulla sicurezza sociale e su alcuni aspetti della fiscalità nonché all‘insistenza spagnola per rinviare al 2007 la maggioranza qualificata nella gestione dei Fondi strutturali“. Insomma: anche se allora in ballo l’aumento e la nuova ripartizione dei seggi al Parlamento europeo e le nuove regole di funzionamento di Consiglio e Commissione dopo l’ingresso dei Paesi allora candidati all’adesione, i veri nodi erano la gestione dei fondi e il potere di veto. Vent’anni dopo, i punti di scontro sono stati gli stessi.
La lezione di Prodi – Per Prodi la lezione era già chiara. E la scandì quel 12 dicembre davanti all’Europarlamento, definendo il trattato di Nizza “un passo più corto di quello che avremmo voluto e potuto realizzare”, anche se “la direzione è giusta”. “Chi vede l’Europa come una semplice camera di compensazione a cui attingere quando è necessario e da cui restare fuori quando non è possibile attingere o quando già si è molto ottenuto”, disse, “compie non solo un errore di analisi storica, ma un delitto nei confronti delle nuove generazioni“. Parole riecheggiate anche da Giuseppe Conte domenica notte, quando ai frugali ha mandato a dire che “chi oggi si contrappone alla chiusura di questo negoziato deve pensare che non solo la storia gli chiederà il conto ma che i suoi stessi cittadini si renderanno conto che è stata una valutazione miope che ha contribuito ad affossare il mercato unico e la libertà di sognare delle nuove generazioni”.
“L’aritmetica degli Stati ha vinto sull’ambizione europeista” – “Nizza è stato un vertice in cui l’aritmetica degli Stati ha vinto sull’ambizione europeista“, scriveva il giorno dopo El Pais. “Le riforme hanno abbattuto un ostacolo centrale perché si arrivi in pochi anni all’ampliamento verso Est, ma hanno complicato al massimo la possibilità di prendere decisioni in questa Unione ampliata“. E la Frankfurter Allgemeine Zeitung, lapidaria, sentenziava: “La storia si ripete, quanto meno nell’Unione europea. Tre anni e mezzo fa a tarda ora di una notte di giugno partì il primo tentativo di preparare le riforme delle strutture decisionali per un’Europa allargata. Ora a Nizza, quasi alle stesse ore del mattino, Io stesso tentativo non è riuscito. Dopo un vertice senza precedenti, che minaccia anche di ripetersi, capi di Stato e di governo hanno presentato un nuovo Trattato. Ma dopo oltre cinquanta ore di discussioni e schermaglie sul potere e sul denaro, le forze sono bastate solo per un paio di sospiri”. Vent’anni dopo, l’accordo trovato appare ambizioso nonostante i tanti compromessi. Starà ai Paesi sfruttare bene le risorse messe in campo.