Il Tar del Lazio, con l'ordinanza del gennaio 2019, pur ritenendo fondate le preoccupazioni delle associazioni ambientaliste sulla legittimità della scelta del "tracciato verde" ha rimesso all'istituzione comunitaria la decisione definitiva
Potrebbe sembrare paradossale, ma non lo è. Della tutela e salvaguardia del paesaggio italiano si occupa l’Europa. Più di quanto faccia in molti casi lo Stato. Il 16 luglio scorso, la Corte di Giustizia europea ha emesso una sentenza che molto probabilmente consentirà alla Valle del Mignone di non essere oltraggiata da interventi abusivi e pericolosi. Perché sul piatto della bilancia ci sono interessi differenti. Da una parte quelli di chi ha cuore i boschi e le valli della Tuscia, caratterizzate da piccoli comuni e resti antichi di incomparabile bellezza. Dall’altra quelli di chi ritiene che la superstrada Orte-Civitavecchia, destinata a facilitare il collegamento tra il porto di Civitavecchia e l’autostrada A1 Milano-Napoli, egli scambi tra il nodo intermodale di Orte, l’area industriale di Terni, e l’itinerario Ancona-Perugia, vada terminata. Ad ogni costo.
La vicenda nasce nel 2004, quando il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare esprime parere favorevole alla realizzazione del tratto di circa 18 km della SS 675 Umbro-Laziale, tra Monte Romano Est e Tarquinia Sud, completamento del collegamento del porto di Civitavecchia con il nodo intermodale di Orte-Tratto Monte Romano Est-Civitavecchia, secondo un tracciato cosiddetto “viola”. Nel 2011 il Cipe approva questo primo progetto. Ma nel 2015, l’Anas, incaricata della realizzazione dei lavori, deposita un progetto alternativo, detto “tracciato verde”, a causa dei costi elevati del “tracciato viola”.
Peccato che il tracciato verde, a dispetto del nome, risulti particolarmente impattante: prevede 9 viadotti, 1 galleria e 2 svincoli. Anche per queste ragioni il Ministero dell’Ambiente emette due pareri negativi. Partita tutt’altro che chiusa: a dicembre 2017 la Presidenza del Consiglio dei Ministri adotta un provvedimento di compatibilità ambientale del progetto preliminare, corrispondente al “tracciato verde”, motivando la sua decisione con ragioni di rilevante interesse pubblico. Nel febbraio 2018 segue l’approvazione del Cipe, anche se con alcune prescrizioni.
È a questo punto che intervengono le associazioni ambientaliste Italia Nostra, WWF, Forum ambientalista, Lipu, BirdLife Italia, Gruppo di intervento giuridico. Che nel gennaio 2018 ricorrono contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’Anas avverso il Provvedimento di compatibilità ambientale conclusivo del Procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale relativo al “tracciato verde”.
Perché è indiscutibile l’importanza strategica del tracciato stradale. Ma è altrettanto innegabile la rilevanza ambientale dell’area che dovrà essere attraversato dall’ultimo tratto del tracciato. Che seziona la zona di protezione speciale “Comprensorio Tolfetano-Cerite-Manziate” e dista tra 100 metri e un chilometro dal sito di interesse comunitario del Fiume Mignone. Entrambi siti della Natura 2000, il principale strumento europeo per la conservazione della biodiversità.
Il Tar del Lazio, con l’ordinanza del gennaio 2019, pur ritenendo fondate le preoccupazioni delle associazioni ambientaliste sulla legittimità della scelta del “tracciato verde” ha rimesso alla Corte di Giustizia europea la decisione definitiva. Che ora è arrivata, e ritiene “imprescindibile” la salvaguardia ambientale. A questo scopo, fissa i principi ai quali il Tar Lazio deve attenersi nel giudizio principale. A partire da un caposaldo: nonostante l’articolo 6 della direttiva del Consiglio delle Comunità Europee n. 42 del 1992 consenta all’Italia di intervenire anche in una ‘zona speciale di conservazione’ per motivi imperanti di interesse pubblico, in assenza di mitigazione ambientale e con i pareri negativi delle Autorità competenti, tuttavia, deve propendere per la “soluzione alternativa che comporta minori inconvenienti per l’integrità della zona interessata”.
Inoltre, nel caso in cui il progetto sia stato valutato negativamente in merito all’incidenza su una zona speciale, ma lo Stato intenda comunque realizzarlo per ragioni imperative di rilevante interesse pubblico, dovrebbero essere previste misure di compensazione ambientale. Ancora, la direttiva del 1992 prevede che il soggetto proponente il piano debba predisporre lo studio di incidenza ambientale, tuttavia non è consentito allo stesso soggetto di scegliere autonomamente quali misure adottare per la realizzazione, qualora il procedimento di valutazione sia arrivato a una conclusione negativa. A quel punto, il piano modificato dovrà essere sottoposto a nuovo procedimento di verifica dell’incidenza. Infine, dal momento che è lo Stato a designare un’autorità preposta alla verifica di incidenza ambientale di progetti sulle zone speciali di conservazione, dopo il giudizio non è consentito che una qualsiasi altra autorità “prosegua o completi tale valutazione”.
Questo chiarisce alcuni degli equivoci. In realtà. già il Tar del Lazio nell’ordinanza del 2019 aveva rilevato come l’Anas non avesse mai dimostrato che il tracciato non avrebbe inciso negativamente sul sito. Anche perché non aveva completato lo studio relativo all’impatto ambientale nell’ambito della procedura di verifica, come richiesto dal Ministero dell’Ambiente. Il Giudice europeo ha quindi delineato il quadro entro cui si muoverà il giudizio del Tar del Lazio. Per l’Italia, una unica certezza: la brutta figura.