Cronaca

Un diamante è per sempre, ma non per me

Ieri un mio vecchio amico, grande manager bancario, mi ha segnalato un articolo del Fatto Quotidiano sfuggito a me ma non a tanta altra gente. Ero stato nominato nella storia della famosa e ancor più famigerata “truffa dei diamanti” per esser stato per meno di tre mesi nel Consiglio di Amministrazione della allora neonata Fugen Private SIM SpA, una delle società in cui sarebbero state reinvestiti denari provenienti dal raggiro in questione.

Il suggestivo racconto del freelance investigative journalist Nicola Borzi dice che il 17 dicembre 2019 Nicolò Pesce – personaggio centrale nella vicenda giudiziaria in questione – “aveva ammesso di aver trasferito milioni per conto di Sacchi.”

Continuando a leggere il pezzo si scopre (erroneamente) che detta SIM “a gennaio scorso ha visto le dimissioni dei consiglieri”. Chi non conosce i fatti è portato ad immaginare la “fuga” (nemmeno tanto repentina) di chi era in CdA dopo la confessione di Pesce. Chi non conosce i fatti, però, di solito ne legge e non ne scrive.

In realtà venerdì 13 dicembre 2019 – con una mail ricca di allegati provenienti da fonti aperte – ho informato gli altri consiglieri della SIM (mai divenuta operativa) dei legami tra Kamet Advisory (di Nicolò Pesce), Magifin e DPI (Diamond Private Investments) e della possibilità che in quella SpA potessero essere confluite somme di origine delittuosa.

Le mie dimissioni sono state inoltrate via Pec nel pomeriggio di lunedì 16 dicembre 2019, data che – se il calendario non inganna – sembrerebbe precedente le ammissioni di Pesce. La corretta sequenza degli eventi spiega che la mia uscita non è conseguente all’aver vuotato il sacco di Nicolò Pesce, ma che più probabilmente la sua dichiarazione di colpa è stata incentivata dalle mie dimissioni e dall’intenzione degli altri Consiglieri di seguire il mio esempio approfittando del CdA del successivo giorno 19.

Prima che qualcuno spicchi voli pindarici e immagini chissà quale cricca, di quel Consiglio – di cui Borzi mi ha riservato il privilegio di essere l’unico a venir citato – facevano parte persone rispettabili, come gli affermatissimi personaggi del settore bancario e finanziario Giancarlo Vinacci (mio amico d’infanzia, colui che mi ha ingaggiato in questa “dis-avventura” pensando che potessi dare un contributo in tema di tecnologia e sicurezza, visto che la SIM avrebbe utilizzato un sofisticato sistema di intelligenza artificiale per indirizzare gli investimenti) e Paolo Carini.

La preposizione che maggiormente piace a Nicola Borzi è “ex”. Me l’ha appiccicata tre volte in due righe, facendo riferimento al mio aver servito il Paese in Guardia di Finanza, al mio aver lavorato al fianco di Franco Bernabè in Telecom e al mio aver insegnato e tenuto conferenze in numerose università.

A quest’ultimo proposito ricorda soltanto uno degli Atenei con cui ho avuto a che fare e naturalmente il riferimento corre veloce soltanto alla Link University, recentemente al centro di perquisizioni, sequestri e altre attività di indagine.

Ho insegnato da quelle parti molto prima che la corte di Vincenzo Scotti diventasse l’anticamera di fortunate carriere politiche e professionali e si guadagnasse i riflettori per le più diverse vicissitudini che hanno riempito le pagine dei giornali. E’ successo dal 2001 al 2003, facendo lezione di “technointelligence” alla prima e alla seconda edizione del Master in Intelligence & Security e di “e-Juris” e “Diritto commerciale telematico” ai corsi di laurea in “International Management” e “International Legal Affairs”. L’accostamento a quella struttura di formazione poteva essere più preciso e meno foriero di suggestioni fuorvianti. Giusto a voler puntualizzare, non ho tratto alcun beneficio da quella esperienza, né sotto il profilo retributivo (vanto ancora un credito ormai prescritto) né sotto quello di altre forme di remunerazione.

Non conosco Nicola Borzi. E anche lui non conosce me perché altrimenti sono certo avrebbe evitato citazioni potenzialmente destinate ad innescare interpretazioni che i miei trascorsi (e il mio presente a dispetto del ripetuto “ex”) davvero non meritano.

Mi aspetto dal dottor Borzi non solo la rettifica, ma anche e soprattutto le scuse. Non solo per me, ma anche per la GdF e per l’allora Telecom Italia che certo non hanno avuto alle dipendenze un soggetto malfidato ed equivoco, ma una persona pronta a pagare il prezzo più alto per tener fede al proprio giuramento.