Le indagini hanno svelato una serie di episodi avvenuti a partire dal 2017 ai danni di spacciatori, immigrati e cittadini innocenti. Tra i militari coinvolti ci sono il maresciallo luogotenente della stazione Levante, ai domiciliari, e un capitano colpito da obbligo di dimora. "Tutti gli illeciti più gravi sono stati commessi nel lockdown, con il più totale disprezzo dei decreti emanati dalla presidenza del consiglio", ha dichiarato la procuratrice Grazia Pradella
Un uomo a terra scalzo, il sangue che gli cola dal naso e che macchia quello che sembra il pavimento di un cortile. È racchiusa in questa immagine che sembra giungere da lontano, da carceri irachene in piena guerra, l’accusa di tortura contestata a un gruppo di carabinieri a cui la procura di Piacenza contesta una lunghissima serie di reati – dalla ricettazione al falso, dal traffico e spaccio di droga al peculato e poi lesioni, violenza privata, perquisizioni e ispezioni personali, arresto illegali, estorsione. E per la prima volta in Italia una caserma dell’Arma è stata sequestrata e tutti i militari in servizio, eccetto uno, risultano indagati. In totale sono 22 le misure emesse dal giudice per le indagini preliminari di Piacenza, Luca Milani: 12 indagati – tra cui cinque carabinieri – sono finiti in carcere, per cinque persone – tra cui il maresciallo comandante della stazione di Piacenza Levante – il giudice ha disposto gli arresti domiciliari, altri quattro – 3 carabinieri e un finanziere – hanno l’obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria. Per un altro militare è stato deciso l’obbligo di dimora e un cittadino italiano è stato denunciato. A chiusura dell’ordinanza il giudice che parla di “risposta dello Stato” a quelli che la procura definisce una serie di reati “impressionanti” dedica il lavoro che definisce “atto di giustizia” a chi 28 anni fa, in via D’Amelio a Palermo, perse la vita nell’attentato in cui persero la vita Paolo Borsellino e gli uomini della scorta: Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi e Claudio Traina “servitori dello Stato di tutt’altro spessore rispetto agli odierni indagati” morti “compiendo il loro dovere”.
L’intercettazione: “Ho fatto un’associazione a delinquere” – E basta anche una sola delle intercettazioni degli indagati per capire come fossero lontani da quel modello: “Ho fatto un’associazione a delinquere ragazzi (…) in poche parole abbiamo fatto una piramide (…) noi siamo irraggiungibili. Abbiamo trovato un’altra persona – prosegue l’intercettazione – che sta sotto di noi. Questa persona qua va tutti da questi gli spacciatori e gli dice: ‘Guarda, da oggi in poi, se vuoi vendere la roba vendi questa qua, altrimenti non lavori!’ e la roba gliela diamo noi!”. La caserma, atto mai disposto prima, è stata sequestrata. L’immobile di via Caccialupo, a pochi passi dal Duomo, è stato “sottoposto a sequestro penale” perché è lì che venivano portate le persone, secondo gli inquirenti, arrestate illegalmente. E dove si sono compiute, per l’accusa, torture, lesioni, estorsioni e spaccio di droga. L’operazione, soprannominata “Odysseus” è stata condotta dalla Guardia di finanza, in collaborazione con la polizia locale, ed è partita nel 2017. L’inchiesta è coordinata dal neo procuratore della Repubblica Grazia Pradella ed è durata sei mesi, durante i quali è stato utilizzato anche il trojan informatico per captare spostamenti e discussioni delle persone coinvolte. Un cittadino sarebbe stato accusato ingiustamente di spaccio di stupefacenti attraverso prove false. Tutto è partito dalla segnalazione di un alto ufficiale dei carabinieri – non in servizio a Piacenza – che ha denunciato i fatti ai magistrati. Una segnalazione arrivata dopo una convocazione da parte degli uomini della polizia locale che lo avevano citato come teste in un caso di maltrattamenti e hanno raccolto le sue dichiarazioni spontanee.
La droga recuperata in divisa – Tra i vari episodi legati allo spaccio che vengono contestati all’appuntato dei carabinieri in servizio alla stazione di Piacenza Levante, ora in carcere, c’è anche il fatto di essere andato insieme a un collega a recuperare un “quantitativo non accertato di marijuana” durante l’orario lavorativo, in divisa e a bordo di un’auto dei carabinieri con i colori d’istituto, lo scorso 4 marzo. La droga era stata portata nella caserma di via Caccialupo e lì consegnata a uno spacciatore della zona affinché la vendesse. I quantitativi di stupefacenti sequestrati venivano infatti presi dai carabinieri e dati in parte agli informatori per ricompensarli delle soffiate e in parte ai pusher con i quali poi dividere i guadagni. In diverse occasioni, inoltre, l’appuntato indagato trasportava la droga anche nella propria auto di proprietà: è capitato, per esempio, a metà marzo che il militare portasse hashish “nell’ordine di alcuni chilogrammi per volta” dal Milanese, dove la droga veniva acquistata da un altro degli indagati, fino a Piacenza, “sfruttando il suo ruolo di appartenente all’Arma che maggiormente garantiva da eventuali controlli”, come scrive il gip Luca Milani nell’ordinanza.
Il racconto dello spacciatore e informatore: “Festini con droga e prostitute”- Uno dei primi testimoni dell’indagine è stato uno spacciatore marocchino che era diventato informatore dei carabinieri. La testimonianza dell’uomo è stata raccolta dalla polizia locale e all’inizio gli stessi investigatori stentavano a credere a quel racconto. “I carabinieri tenevano altri comportamenti sopra le righe, come organizzare festini a base di stupefacente ai quali partecipavano diverse prostitute, tra le quali un transessuale che abitava a Piacenza(…) Uno di loro, poi, in più occasioni aveva sottratto parte del denaro sequestrato agli spacciatori che venivano arrestati nel corso di regolari operazioni di polizia”. Ma non solo esisteva in caserma, una sorta di nascondiglio della droga – chiamata la scatola della terapia – dove i complici potevano prendere la droga.
Il pusher che piange mentre viene picchiato – Nel corso della conferenza stampa è stato mostrato un video di un minuto in cui si sente in modo chiaro un cittadino a piede libero piangere per le percosse subite dai carabinieri. Uno degli arresti illegali risale al 27 marzo 2020: si tratta di un pusher percosso “in modo violento” nonostante avesse ancora “le manette alle mani”. C’è poi il caso di un altro spacciatore a cui viene consegnato un documento con timbro ufficiale per poter “uscire fuori Regione” durante l’emergenza coronavirus e recuperare la droga. “Piacenza stava ancora contando i suoi morti“, ha dichiarato Pradella, “e questo signore firma e controfirma un’autocertificazione per permettere allo spacciatore di muoversi verso la Lombardia”. Tutti gli illeciti più gravi “sono stati commessi nel lockdown”, aggiunge il procuratore, “con il più totale disprezzo dei decreti emanati dalla presidenza del consiglio. Solo un militare della caserma non è coinvolto. Faccio fatica a definire questi soggetti ‘carabinieri’ perché i comportamenti sono criminali. Non c’è nulla di lecito” nelle loro azioni. “Quello che la procura deve chiedersi e che deve chiedersi anche l’Arma è come sia stato possibile che un appuntato dei carabinieri con un atteggiamento in stile Gomorra abbia acquisito tutto questo potere”. In un’intercettazione, infatti, è lui stesso a citare la serie tv: “Guarda che è stato uguale, tu devi vedere gli schiaffoni che gli ha dato“. Per quanto riguarda il ruolo del comandante della compagnia, Pradella ha spiegato che a suo carico è stata accertata una “spinta” ad eseguire gli arresti illeciti “costi quel che costi”. Il comandante di stazione, invece, “era presente in caserma quando si sono verificati gli episodi di presunte torture e percosse” e avrebbe “partecipato ai falsi arresti”. Gli indagati sono accusati a vario titolo di peculato, abuso d’ufficio, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio, lesioni personali aggravate, arresto illegale, perquisizioni ed ispezioni personali arbitrarie, violenza privata aggravata, tortura, estorsione, truffa ai danni dello Stato, ricettazione, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. Nel corso dell’operazione, scattata all’alba, sono stati sequestrati una villa con piscina, degli automezzi e numerosi conti correnti. “Le indagini patrimoniali hanno evidenziato un tenore di vita che mai avrebbe potuto essere appartenente all’Arma dei carabinieri” ha detto la pm Grazia Pradella nel corso della conferenza stampa.
La procuratrice Grazia Pradella: “Hanno disonorato la loro divisa” – “La figura di spicco come spacciatore era sicuramente un appuntato”, ha spiegato la pm. Per quanto riscontrato i comportamenti illeciti esistono a partire dal 2017, ha aggiunto. “Questi appartenenti all’Arma sono appartenenti figurativamente, hanno disonorato la divisa e hanno commesso atti al pari di criminali veri e propri e credo che questo non costituisca un fatto meritato dalla maggioranza dei carabinieri che svolgono con onestà e lealtà il loro lavoro tutti i giorni”. “Totale sostegno all’autorità giudiziaria”, è il commento del comando generale dell’Arma dei arabinieri alla vicenda. “I gravissimi episodi oggetto di indagine – dicono gli inquirenti – sono ulteriormente aggravati dall’incommensurabile discredito che gettano sull’impegno quotidianamente assicurato dai carabinieri al servizio dei cittadini e a tutela della legalità“. Per questo, è stata disposta “l’immediata sospensione dall’impiego” per i militari coinvolti nell’inchiesta e l’arrivo di “rigorosi provvedimenti disciplinari a loro carico”. “Accuse gravissime rispetto a degli episodi inauditi e inqualificabili. Fatti inaccettabili, che rischiano di infangare l’immagine dell’Arma, che invece è composta da 110.000 uomini e donne che ogni giorno lavorano con altissimo senso delle Istituzioni al fianco dei cittadini – afferma il ministro della Difesa Lorenzo Guerini -. Sono loro il volto della legalità, a ciascuno di loro oggi esprimo la più profonda riconoscenza e vicinanza. Da subito sia l’Arma dei Carabinieri che il Ministero della Difesa hanno dato la massima disponibilità a collaborare con la magistratura affinché si faccia completa luce sulla vicenda – aggiunge Guerini – Il Comandante Nistri mi ha confermato di aver immediatamente assunto tutti i provvedimenti possibili e consentiti dalla normativa vigente nei confronti del personale coinvolto“.
Solo uno dei carabinieri in servizio alla stazione di Piacenza Levante non risulta indagat. Ed è proprio il giovane maresciallo assegnato negli ultimi tempi alla caserma, oggi finita sotto sequestro, a sfogarsi con il padre sulle cattive condotte dei colleghi a cui lui non voleva adeguarsi. “Se lo possono permettere perché portano i risultati, portano un sacco di arresti l’anno – sbotta il carabiniere in un’intercettazione riportata nell’ordinanza di custodia cautelare -. Ma perché? Perché c’hanno i ganci”. Parole che, secondo quanto scrive nell’ordinanza il gip Luca Milani, mettono in luce “lo sfondo cupo e inquietante” della vicenda e cioè che “in presenza di risultati in termini di arresti eseguiti, gli ufficiali di grado superiore erano disposti a chiudere un occhio sulle intemperanze e sulle irregolarità compiute dai militari loro sottoposti”.