A 88 anni ha deciso di tornare a recitare in teatro. Press agent e creatore di star, teorico assoluto del «purché se ne parli», ha giocato tutta la vita senza paura con l’acqua e con il fuoco (quello vero, non quello figurato) pur di far finire in copertina un film o un’attrice: "Coinvolsi persino l’immensa Mariangela Melato, protagonista della fiction Rebecca - La prima moglie: in una scena lei doveva dare fuoco al castello e ne combinai una grossa. 'Avvicinati al punto che ti verrà indicato, con i teleobiettivi sembrerà che le fiamme ti sfiorino e per la paura di esserti bruciata le mani, fingi di svenire'. Adoravo queste cose"
Da uno capace di far sfilare Claudia Cardinale sulla spiaggia di Cannes con un ghepardo al guinzaglio – era il maggio del ’63 e doveva lanciare de Il Gattopardo,– ti aspetti di tutto. Persino che a 88 anni decida di tornare a recitare in teatro. Enrico Lucherini, press agent e creatore di star, è fatto così: genio e imprevedibilità, intuito feroce e ironia al vetriolo, teorico assoluto del «purché se ne parli», ha giocato tutta la vita senza paura con l’acqua e con il fuoco (quello vero, non quello figurato) pur di far finire in copertina un film o un’attrice. Eternamente insofferente alle convenzioni e alla noia, alla vigilia del compleanno – compie gli anni l’8 agosto – si è già fatto un regalo. “A dicembre porto in scena uno spettacolo dal titolo L’agenda di Enrico: fregherò tutti e farò ridere fino alle lacrime“, rivela a Ilfattoquotidiano.it, annunciando per la prima volta la sua nuova avventura.
Lucherini, lei osa l’inosabile: squaderna la sua agenda e la porta a teatro. Cosa c’è dentro?
Sessant’anni di cinema italiano. Ma questa volta frego tutti: ho sempre parlato di ciò che accadeva sul set, a teatro invece racconterò ciò che ho visto dietro le quinte e nei camerini. Farò ridere fino alle lacrime.
Dalla a alla z, l’alfabeto Lucherini: l’uomo che creò le star.
Parto con la a Antonioni e finisco chissà dove. Il testo è mio, l’idea l’ha avuta Riccardo Rossi: lui è impegnato con altri lavori e al mio fianco ci sarà Nunzio Bertolami, che anni fa realizzò una mostra su di me all’Ara Pacis.
Il debutto è previsto a dicembre, al Teatro Off Off a Roma. Teme ritorsioni?
(ride, ndr) Non me ne frega niente. Tanto c’ho un’età e in galera non ci posso andare. Se mi faranno causa, pazienza: quando comincerà il processo sarò già morto.
La teme la morte?
Non ci penso mai.
E la noia?
Non so cosa sia.
È meglio essere temuti o rispettati?
Rispettati. Esercitare il potere incutendo timore, non è una cosa che mi piace.
Lei era un uomo di potere?
Lo dicevano. Ma non ho mai fatto nulla per esserlo.
Suo padre sognava per lei un avvenire da dottore. Che medico sarebbe stato?
Sarebbe stata una strage. Se vedo una goccia di sangue, mi sento male. Ho dovuto studiare medicina per due anni perché papà voleva che mi specializzassi in radiologia, cosa che poi ha fatto mio fratello.
Nel frattempo, s’iscrisse di nascosto all’Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico.
Mio padre scoprì che avevo smesso di studiare medicina e mi cacciò di casa. Colpa di una tuta, che tempo prima vidi addosso a un gruppo di ragazzi ammassati davanti all’Accademia. “A che vi serve?”, chiesi. “Per un provino”. Lo sostenni anch’io e lo superai.
Che attore era?
Un cane che abbaiava.
Primo ruolo?
Feci il figlio di Albertazzi e Anna Maria Guarnieri in uno sceneggiato. Ero tremendo. Ma recitai per due anni, forse perché ero simpatico, forse perché doveva andare così, chissà. La Compagnia dei Giovani mi prese per un tour in Sudamerica in cui dovevamo recitare sei commedie: le prove le facemmo in nave da Napoli a Rio.
Si divertiva?
Moltissimo. Ogni spettacolo era un evento, loro erano straordinari: s’immagini sul palco la Falk, Valli, la Guarnieri. Poi c’ero io, incapace, che muovevo le mani a caso. “Tienile occupate in qualche modo”, mi strigliava De Lullo.
Miglioramenti?
Nessuno. In una commedia, La bugiarda, ero l’apprendista del sarto e dovevo portare l’abito da sposa a Rossella Falk, che nel frattempo si cambiava fuoriscena. «Signora, è arrivato il vestito», dicevo entrando. Durante una replica, prendo un libro dalla scenografia e lo trovo inchiodato, provo a prendere un bicchiere e non si muove, idem una sedia: per farmi uno scherzo, avevano incollato tutto e mi ritrovai ad annaspare, con il pubblico che mi guardava interdetto e quelli della compagnia schierati dietro le quinte che ridevano come dei pazzi. Ebbi un attacco isterico, gettai a terra il vestito e scappai dal palco.
Quando cominciò a fare il press agent?
Durante la tournée in Sudamerica, ma per caso. Seguivo le conferenze stampa con i direttori dei vari teatri, ma ci aggiungevo sempre qualcosa di mio. Una volta un flirt tra i protagonisti, una volta una lite, facevo recapitare un regalo per un attore: alcuni festeggiarono per finta tre o quattro compleanni.
E quando tornò in Italia?
Mio padre mi disse: “Enrico, deciditi. O fai l’attore come si deve o per come ti ho visto recitare, è meglio che smetti”. Fu la Falk a spingermi: “Continua a fare quello che hai fatto in Sudamerica”. Giuseppe Patroni Griffi mi chiamò a recitare una parte in D’amore si muore, ma rifiutai e seguii lo spettacolo da ufficio stampa inventandomi di fatto un mestiere che non esisteva.
Si può fare un’intervista a Lucherini senza parlare di Via Veneto?
No, perché i tavolini dei bar di Via Veneto furono le mie prime scrivanie. Visconti stava da Doney con Rosi, Patroni Griffi, Dudù La Capria. Di fronte, al Cafè de Paris, c’era Gassman con Anna Maria Ferrero, De Feo, Flaiano. Io facevo il giro di tutti i bar, raccoglievo notizie: senza dircelo, ci si trovava lì ogni sera.
Il suo primo film da ufficio stampa?
La notte brava di Bolognini, scritto da Pasolini, con le attrici più famose dell’epoca, come la Schiaffino: con quel film ebbi il coraggio di aprire un ufficio, che per altro mi regalò mio padre. Quasi in contemporanea mi chiesero di seguire il lancio de Il Gattopardo e Fellini mi chiamò per gestire tre passaggi de la Dolce Vita: il bagno nella fontana di Trevi, lo spogliarello finale di Nadia Grey a Fregene e poi una notte in Via Veneto, che fece ricostruire a Cinecittà.
In una sola istantanea, il ricordo della sua “dolce vita”.
Due di notte, i bar pieni, sentiamo un boato causato da un tamponamento: mi metto a correre come un pazzo, vedo trambusto, le auto ferme e seduta sul sedile posteriore di un’automobile, Sylva Koscina, mezza moribonda. “Sylva, chiamo un’ambulanza?”, le chiedo. “Ma che sei stronzo? Chiama i paparazzi”. mi disse. Lì capii che i fotografi sarebbero stati i miei alleati.
Sophia Loren invece che ruolo ha giocato nella sua carriera?
Sophia stava in America quando Carlo Ponti mi chiamò perché aveva scritturato un’attrice nuova per un film di Lattuada: era Catherine Spaak, che lanciai all’epoca de I dolci inganni giocando sul paradosso. La nuova “ninfetta” di Lattuada – che puntava su attrici che toglievano il sonno agli italiani – la feci posare vestitissima con una camicetta nera: fu un successo. Capii dopo che Ponti mi aveva testato.
Qualche tempo dopo iniziò a lavorare con la Loren.
Mi aiutò molto perché conosceva l’esperienza degli uffici stampa americani, mi dava consigli, m’indirizzava. Fu un sodalizio unico e quando arrivò La ciociara scegliemmo assieme la foto in cui lancia il sasso alla camionetta. “Chi se ne frega se sei sporca, stracciata e non ti si vede bene: quella è la ciociara”. Si fidò e fu un trionfo.
Questione d’intuito, la sua, o di articolato ragionamento?
Ma quale ragionamento: l’idea vincente sta in un lampo. Tutta la mia carriera è stata così: in uno sciocco di dita vedo la copertina e i titoli sui quotidiani.
Chi è il suo erede?
Gianluca Pignatelli. Dopo trent’anni di lavoro assieme ha imparato tutto e lo fa meglio di me.
“Lucherinata” finì persino nei dizionari.
Sono sincero: è una parola che detesto, non mi piace, a tratti m’infastidisce.
La sua impresa più grande?
(silenzio, ndr) Difficile rispondere. Ne ho combinate di tutti i colori giocando spesso con l’acqua o con il fuoco. Agostina Belli la convinsi a far finta di annegare, sul set di Sepolta viva, a Sandra Milo dissi di avvicinarsi a un candelabro durante le riprese di Vanina Vanivi, regia di Rossellini, perché la parrucca prendesse fuoco. Uno scatto e il giorno dopo su tutti i giornali si parlava di quel film.
Nessuno si opponeva?
Tutto accadeva in sicurezza, ovviamente. Coinvolsi persino l’immensa Mariangela Melato, protagonista della fiction Rebecca – La prima moglie: in una scena lei doveva dare fuoco al castello – la serie veniva girata al Miramare di Trieste – e ne combinai una grossa. “Avvicinati al punto che ti verrà indicato, con i teleobiettivi sembrerà che le fiamme ti sfiorino e per la paura di esserti bruciata le mani, fingi di svenire”, le dissi. Ordinai ai fotografi cosa fare e le foto finirono ovunque. C’è stato un momento in cui tutte le mie attrici o rischiavano la morte per affogamento o per ustione. Adoravo queste cose.
Tutte le “lucherinate” sono andate a buon fine?
Tutto ciò che toccavo diventava oro. Fino a cinque o sei anni fa: quando hanno iniziato a non funzionare più e le ho interrotte. I giornali erano un po’ stufati e iniziavano a dire: “Qui c’è dietro Lucherini”. Forse pretendevo troppo.
L’azzardo più grande?
Tanti. Una volta feci infuriare Zeffirelli, regista della versione italiana di Dopo la caduta, dramma di Arthur Miller, ex marito di Marilyn Monroe. Albertazzi e la Vitti lo portarono a teatro e per la prima Eliseo c’era una tensione enorme. In quei giorni ricevevo un bollettino dagli alberghi di Roma che mi aggiornavano sugli arrivi e scopro che all’Excelsior c’era Ava Gardner, grande amica della Monroe: chiamo la segretaria e le mando due biglietti per la prima.
Lo spettacolo dunque era già in platea. Cose accadde?
Faccio incastri clamorosi e la piazzo al centro. Lei arriva e chiede un bicchiere di whiskey: a metà del primo tempo si alza e se ne va mentre sul palco continuavano a recitare. Io inseguo la Gardner sulle scale e noto che è un po’ brilla: ‘Non capisco niente e mi annoio, mi chiami la macchina’. Quando vidi i giornalisti arrivare, la butto in auto e me ne esco con: ‘Era molto commossa perché si è ricordata della sua amica Marylin. È impazzita per Monica Vitti’. Il giorno dopo tutti i titoli erano su di lei.
Si è mai dato un limite?
Non ho mai giocato con flirt e amori: è troppo facile dire questa è l’amante di quello, il tal regista flirta con quell’attrice. Che palle.
A proposito di gossip: quello sul presunto triangolo Belén-De Martino-Marcuzzi la stuzzica?
Mi lascia indifferente. Del gossip di oggi non me ne frega niente: quando sfoglio un settimanale, faccio fatica a riconoscere i personaggi. Certo, so benissimo chi è la Marcuzzi.
E gli influencer che effetto le fanno?
Mi fanno schifo. Ma che lavoro è? Non m’interessano.
Le serie tv le piacciono?
Quelle di Netflix tutte. Ho trovato stupenda Hollywood, ma ho visto anche 365 giorni, con Morrone. Devo essere informato su tutto.
A proposito di serie, lei fu l’ufficio stampa di quelle di Teodosio Losito, da Il bello delle donne in poi.
La sua morte mi ha sconvolto, perché gli volevo bene. L’ho conosciuto un po’ meno di Alberto Tarallo, di cui sono grande amico, ma con lui facevo discorsi molto profondi. Nell’ultima parte era molto affaticato.
La critica è stata feroce nei loro confronti.
Tremenda, direi. Quando hai successo con un prodotto molto popolare, è facile che ti facciano a pezzi. Ora però in tanti scrivono: “Come ci mancano le fiction di Tarallo e Losito”. Erano fatte molto meglio di tante serie osannate dalla critica che però non si guarda nessuno. Il bello delle donne, per dire, era un gioiellino.
In tv cosa guarda?
Sulla generalista seguo i talk politici, pensi come sto messo. Mi diverte Vincenzo De Luca, ma capisco che non si può fare politica in quel modo.
I politici le hanno mai chiesto di seguire la comunicazione?
Me lo chiese Mastella, vent’anni fa, ma dissi no. Non mi è mai interessato.
Come sarà il Festival di Venezia ai tempi del Covid?
Non riesco a mettere ordine tutte le chiacchiere che mi vengono riferite. Per l’organizzazione sarà un macello. La vedo dura, anche se Alberto Barbera è molto bravo e qualcosa s’inventerà.
Lei ci andrà?
No. Ho lavorato a Venezia almeno quarant’anni ma sono due anni che non vado più: la stanza 135 all’Excelsior resta libera.
Come l’ha vissuta la quarantena?
Ho visto quasi tutti i film fascisti. Visto oggi sono orrendi, si salva giusto Gli uomini, che mascalzoni, che lanciò De Sica.
Del cinema di oggi chi le piace?
Sorrentino e Tornatore. E Luchetti, ma solo alcune volte. In generale, leggo delle recensioni a certi film che sono degli inni: ma se il cinema italiano è davvero così, sta messo male.
Un’attrice brava?
Alba Rohrwacher. E la Capotondi, una che ha studiato tanto.
Si dice sempre che non ci sono più le dive: è vero?
Come fai lanciare un’attrice con un vestito slabbrato o che non si è lavata i capelli? Meglio stare a casa a vedere Fabiola (kolossal del 1949, ndr). Le vere dive restano Sophia, la Cardinale e la Lollobrigida. La Lollo sul somarello era straordinaria: non mi ama per niente ma riconosco che è stata un mito.
Perché la Lollo la detesta?
Era convinta che io pagassi le copertine di Sophia. Non ho mai pagato nulla in vita mia. Con lei litigai sul set de La romana, dove a sua volta litigava furiosamente con Francesca Dellera: la conferenza stampa fu un delirio e finirono per insultarsi in maniera pesante. Ovviamente ho adorato. Per altro all’epoca ero molto amico della Dellera. Adesso non so dove stia.
I suoi amici chi sono?
Gianluca Pignatelli, Nunzio Bertolami, Tornatore, Irene Ghergo, solo per citarne alcuni. L’amicizia te la devi costruire e con gli attori è quasi impossibile farlo, anche se per mesi condividi set e grandi emozioni. Con la Cardinale, ad esempio, non andammo mai a fare una passeggiata o al cinema.
Per dirla alla Arbasino: oggi si sente più solito stronzo o venerato maestro?
Solito stronzo. Se mi trattano da venerato maestro, e capita ogni tanto, gli rido in faccia.