di Marco Galaverni *
Un nuovo studio stima un futuro sempre più allarmante: saremo in grado di salvare lui (e tutti noi) dagli impatti del climate change?
La prima volta che ho incontrato un orso polare era poco più di un puntino color panna che dormiva nell’immensità dell’Oceano Artico ghiacciato. Eravamo quasi all’82esimo parallelo, a meno di mille chilometri dal Polo Nord, nel pieno dell’estate artica. Osservare il grande predatore, il cui nome stesso (Ursus maritimus) richiama il legame inscindibile con il mare ghiacciato, è un’emozione senza pari (e che negli anni ’90 aveva fatto la fortuna di una famosa caramella).
Ma l’emozione ha ben presto lasciato spazio allo sgomento, non appena il climatologo di bordo ci ha mostrato le proiezioni sulla riduzione dei ghiacci marini nel periodo estivo: -90% entro il 2040. Ciò significa che non i nostri nipoti, ma già i nostri figli potrebbero non avere la possibilità di ripetere incontri come quello. Ovviamente, tutto a danno del re dell’Artico, che dall’estensione della banchisa dipende strettamente per cacciare e riposarsi.
Attualmente, si stima che in tutto l’Artico vivano poco più di 20.000 orsi polari, all’incirca il numero di abitanti di Sondrio, suddivisi in una ventina di popolazioni distinte, per le quali la Iucn (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) stimava una riduzione del 30% nelle prossime tre generazioni ursine.
Ma proprio in questi giorni un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature Climate Change (Molnar et al. 2020) presenta previsioni molto più allarmanti: entro il 2010, il numero di giorni estivi privi di ghiaccio potrebbero superare la resistenza massima degli orsi di “fare dieta”, ovvero di resistere senza mangiare, dato che in assenza di ghiaccio la possibilità di catturare prede come le foche rasenta lo zero, con effetti più deleteri per femmine e giovani.
Secondo gli autori, tra appena 80 anni quasi il 90% delle popolazioni di orsi potrebbero quindi trovarsi in questa triste situazione – che in aggiunta, costringendo gli orsi a trascorrere sempre più tempo sulla terraferma, aumenta anche la probabilità di conflitti con le comunità locali, con sempre più frequenti scene di orsi che vagano per villaggi in cerca di rifiuti.
Per quanto le variabili da considerare siano molteplici, e i tempi possano cambiare di qualche anno a seconda dello scenario di emissioni considerato, se vogliamo salvare l’orso polare la risposta è semplice: dobbiamo ridurre drasticamente le nostre emissioni, partendo dalla riduzione degli sprechi, sfruttando le opportunità offerte dalle nuove tecnologie (ad esempio attraverso lo smart working) e scegliendo con più attenzione quello che mangiamo (una ampia fetta di emissioni viene infatti da allevamento e agricoltura).
Ma dobbiamo farlo in prima persona, per non trovarci nel futuro dipinto dalle immagini del grande Gabriele Muccino, in cui l’unico orso rimasto è un’animazione digitale. Siamo ancora in tempo, ma ne abbiamo sempre meno.
*Direttore Scientifico Wwf Italia