Le macchine e le motociclette non se l’è mai fatte mancare, Giuseppe Montella. Dal 2008 al giorno del suo arresto ha cambiato dieci automobili e 16 dueruote passando da Fiat Punto e Smart a Bmw 520, Mercedes Classe A e Ducati Hypermotard. Come sia riuscito a mantenere un tenore di vita “decisamente sproporzionato” rispetto ai 31.500 euro lordi di stipendio, e mentre perfezionava anche l’acquisto di una villetta da oltre 250mila euro a Gragnano Trebbiense, è spiegato dal gip del Tribunale di Piacenza, Luca Milani, nell’ordinanza con cui mercoledì lo ha spedito in cella con una sfilza di quasi 50 capi d’imputazione.
L’appuntato Giuseppe Montella, conosciuto da tutti come Peppe, nato a Pomigliano d’Arco, dovrà essere convincente durante l’interrogatorio di garanzia oppure tra pochi giorni festeggerà il suo 37esimo compleanno in carcere perché ritenuto un “criminale pericolosissimo” che “è stato in grado per anni di mascherarsi da servitore dello Stato per perseguire esclusivamente i suoi scopi illeciti”. I traffici di droga, innanzitutto, con “calabresi coi pezzi grossi”, ma anche i pestaggi ai presunti pusher stranieri raccontati al figlio, un bambino di appena 11 anni. E poi l’estorsione a due commercianti d’auto del trevigiano lo scorso febbraio, quando aveva acquistato un’Audi A4, ora sequestrata, per poco più di 10mila euro a fronte di un valore di mercato stimato attorno ai 21mila. “Figa, sono entrato attrezzato (armato, ndr)… Uno si è pisciato addosso, nel senso proprio pisciato addosso. L’altro mi ha risposto e l’ho fracassato”, si vantava al telefono con i suoi amici.
Un carabiniere che “vive al di sopra della legge”, in una sorta di “delirio di onnipotenza” e “autoesaltazione”. Come dimostrebbe una delle tante “nefandezze” ricostruite dai finanzieri nel corso dell’inchiesta, coordinata dalla procura di Piacenza guidata da Grazia Pradella, che ha portato per la prima volta a mettere i sigilli a una caserma: quando un suo sodale scopre una microspia a bordo della Audi, invece di preoccuparsi perché potrebbe essere stato “messo sotto”, il primo pensiero di Montella va ai carrozzieri che l’avevano riverniciata. Sospetta che gli investigatori possano aver sfruttato quel momento per installarla: “E allora io o acchiappo Davide e Claudio per il collo, li attacco al muro e gli dico: “È entrato qualcuno qua dentro? Adesso me lo dici se no ti spacco tutti i denti’“.
Si sarebbe trattato, nel caso, dell’ennesimo pestaggio: le botte, stando alla ricostruzione dell’accusa, erano un metodo usato in diverse occasioni da Montella. Un modus operandi che era “quasi un motivo di vanto” persino di fronte al figlio. Il 28 marzo scorso – il giorno dopo un episodio per il quale gli viene contestato arresto illegale e lesioni personali – l’appuntato raccontava al bambino di 11 anni: “Ieri mi sono fatto un male (…) ho preso un piccolo strappo perché ho corso dietro a un negro”. E di fronte alle domande del piccolo (“L’hai preso poi? Gliele avete date? Chi eravate?”) rispondeva placido: “Eh, un po’ tutti”. Con la moglie era ancora più esplicito: “Minchia, amore, però l’abbiamo massacrato”.
Al di sopra delle regole Montella avrebbe vissuto anche durante il lockdown, mentre Piacenza era una delle province più martoriate dal Covid. Il giorno di Pasqua aveva organizzato un pranzo nel giardino della sua villetta insieme ad amici. L’assembramento alla luce del sole aveva attirato l’attenzione di una sua vicina, che aveva allertato la centrale operativa dei carabinieri. Tutto viene nascosto dal collega che raccoglie la telefonata. Ma all’appuntato non basta, vuole sapere chi è la donna che ha segnalato l’incontro tra persone non conviventi per festeggiare con bottiglie di champagne: “Mi devo togliere lo sfizio…”. E due giorni dopo riceve via Whatsapp la registrazione della chiamata al 112. Una vicenda che evidenzia, secondo il giudice per le indagini preliminari, un “malcostume dilagante” all’interno della Compagnia dei carabinieri di Piacenza.
Uno “sfondo cupo e inquietante” gira attorno alla figura di Montella e dei suoi colleghi della stazione Levante, ovvero che “in presenza di risultati in termini di arresti eseguiti, gli ufficiali di grado superiore erano disposti a chiudere un occhio sulle intemperanze e sulle irregolarità compiute dai militari loro sottoposti”. E anche di fronte al tenore di vita di Montella, definito “sproporzionato” rispetto allo stipendio, anche per quelle “numerose” automobili di grossa cilindrata e motociclette comprate con “frequenza quasi annuale”. Tanto da spingere il magistrato a chiedersi “come mai” nella stazione di via Caccialupo 2 e nell’intera Compagnia “nessun membro dell’Arma abbia mai sollevato un dubbio sulle reali capacità economiche” di un appuntato che sembrava fare una vita da generale.