La Reggiana – anzi la Reggio Audace, perché ormai si chiama così – torna in Serie B dopo 21 anni. Il Bari di Luigi (e quindi Aurelio) De Laurentiis se ne farà un altro in C. E forse è questa la vera notizia: esce sconfitta la squadra che tutti davano per favorita alla vigilia, forte a palazzo ma meno sul campo, in grado di ottenere i playoff ma non di vincerli. La promozione della Reggiana in realtà non è del tutto una sorpresa: in fondo, era la squadra che secondo il famigerato algoritmo della Figc di Gabriele Gravina sarebbe stata promossa a tavolino, in caso di mancata ripresa del torneo causa Covid. Si presentava in testa alla griglia di partenza, e soprattutto ha meritato ieri nella finale annunciata e giocata meglio degli avversari.

Tutti aspettavano Bari, invece in B torna Reggio Emilia, non propriamente una grande piazza di pallone. Solo quattro apparizioni nella massima serie, a inizio Anni Novanta. Tanta Serie B, ancor di più Serie C, troppi fallimenti. Il più recente, il più clamoroso, sotto il nome illustre di Mike Piazza. In città avevano quasi rinunciato al calcio. Dopo l’ultimo crack, il club ha dovuto anche abbandonare il suo nome storico ed essere ribattezzato. Lo stadio, il vecchio Giglio, è stato venduto al più ricco Sassuolo e intitolato alla Mapei del compianto patron Squinzi. Questa squadra, da poco tornata nei professionisti, per giunta con un ripescaggio, non era certo stata costruita per vincere. La promozione è il giusto premio per il presidente Quintavalli, mister Alvini e un piccolo progetto che andrà coltivato con cura.

Quanto al Bari, la sua mancata promozione rimanda un problema per tutto il calcio italiano: quando il nuovo Bari di De Laurentiis arriverà in Serie B – e ci arriverà presto –, aggiungendosi alla Salernitana di Lotito, bisognerà riflettere sul tema delle multiproprietà e sul pericolo che rappresentano per la regolarità dei tornei. Intanto la parabola dei biancorossi assomiglia, in proporzione, più a quella beffarda dell’altra squadra di Claudio Lotito, la Lazio: tanto clamore sullo stop del torneo, tanta pressione per ottenere i playoff, e poi si ritrova senza nulla in mano, e davanti la prospettiva di un altro anno nel purgatorio della Serie C, che nel Gruppo C con l’arrivo del Palermo e le solite piazze meridionali promette di essere un inferno.

La Lega Pro aveva votato di chiudere la stagione e si è ritrovata in crisi perché alcuni club non hanno accettato la decisione della maggioranza, a partire proprio dal Bari. Anche la stessa Reggiana, va detto, ma con ben altre armi. De Laurentiis figlio ma soprattutto padre, patron di peso della Serie A, voce ascoltata anche in Figc, sanno farsi sentire nei palazzi che contano. E infatti la partita non si è decisa a Firenze, dove ha sede la piccola Lega Pro, ma tra Roma e Milano, dove si riuniscono e decidono i padroni del pallone. Questi playoff, a campionato finito e su base volontaria, sono stati una delle tante storture del calcio post Covid, costretto a giocare a qualsiasi costo. La Serie C non aveva mezzi e motivazioni per riprendere dopo il lockdown, perché rimettere in moto la macchina, sobbarcarsi mesi in più di stipendio e costi extra era qualcosa che non si doveva chiedere a delle società che già in condizioni normali faticano ad arrivare a fine stagione. Tanto che sei squadre, almeno due con chance di vittoria, hanno preferito rimanere a casa. Altre 22 (mettiamoci pure, anzi soprattutto quelle dei playout) sono state costrette a farlo, più o meno controvoglia. Per la serenità della Figc, che voleva evitarsi un’estate di ricorsi, e gli interessi dei club più influenti. Ma nel calcio i più ricchi non vincono sempre. Non sul campo, almeno.

Twitter: @lVendemiale

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