Szabolcs Dull, direttore del principale sito ungherese di notizie Index è stato licenziato dopo avere denunciato un mese fa che l’indipendenza del giornale era a rischio. La redazione ne ha chiesto la riassunzione all’editore László Bodolai – che lo ha licenziato di persona – ma lui ha rifiutato. A quel punto tre giornalisti del sito, Kata Janecskó, András Dezső e Bálint Szalai, hanno rassegnato le dimissioni. Il caso è diventato nazionale e il 24 luglio il partito di centro Momentum – il terzo del Paese per consensi – ha organizzato una manifestazione a Budapest a sostegno della liberà dei media in Ungheria, fortemente compromessa da quando il premier Viktor Orban è al potere. “La redazione di Index ha detto chiaramente cosa sta succedendo: interferenze, minacce, ricatti e pressioni. Non possiamo permetterlo”, ha scritto su facebook Momentum.
Viste le progressive infiltrazioni degli uomini di Orban nei media nazionali – dove altri siti, giornali, reti televisive e radio sono state da un giorno all’altro comprati da chi era vicino a Fidesz o direttamente chiusi – Index aveva istituito un paio di anni fa un barometro che indicava la libertà del sito. I guai dell’organo indipendente, uno dei pochi rimasti nel Paese, sono cominciati quando un imprenditore vicino al premier nazionalpopulista ha acquistato una partecipazione del 50% nelle società editrice. Nonostante questo, fino a qualche settimana fa la lancetta del barometro era sempre rimasta sul verde, poi si è spostata sul giallo, che significa “in pericolo”. Uno scatto avvenuto quando la proprietà, facendo leva anche sulla crisi Covid, aveva pensato a una riorganizzazione interna, con la creazione di contenuti esternalizzati e non più prodotti in redazione. La decisione aveva allarmato Dull: “Temiamo che con la proposta di riorganizzazione che ci è stata fatta – ha scritto il 21 giugno – perderemo quei valori che hanno reso Index.hu il sito di notizie più grande e più letto dell’Ungheria”.
Da lì, riferiscono i media ungheresi, la proprietà gli ha offerto una cospicua buonuscita per fare in modo che se ne andasse senza fare rumore. Ma lui si è rifiutato e la sua epurazione ha riacceso l’attenzione su un caso che era già arrivato anche a Bruxelles: lo scorso 7 luglio la vicepresidente della Commissione europea Věra Jourová aveva inviato una lettera al sito esprimendo solidarietà perché hanno “lavorato in condizioni molto difficili. La pressione economica – aveva scritto – non dovrebbe trasformarsi in pressione politica. Ho seguito con preoccupazione la situazione del sito. Quello che state facendo – aveva aggiunto – e i valori per cui combattete, libertà e pluralismo, sono essenziali per la democrazia“.