di Silvia Zamboni*
Secondo i dati dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro riportati nel “Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato 2020-2022″, su oltre 7 mila accertamenti effettuati nel 2018, si è registrato un tasso di irregolarità pari al 54,8%, con oltre 5 mila lavoratori interessati dalle violazioni. Dei lavoratori irregolari, il 74% circa risultava impiegato nel settore agricolo, e per oltre la metà si trattava di cittadini stranieri, un dato che conferma che il fenomeno riguarda anche gli stagionali italiani.
I casi di caporalato emersi nella scorsa primavera in Romagna, con migranti afghani e pachistani impiegati in aziende dei territori di Castrocaro Terme, Bagnara di Romagna, San Clemente e San Giovanni in Marignano pagati da loro connazionali pochi euro al giorno e condannati a vivere in condizioni disumane, hanno (ri)alzato il velo su una realtà finora rimasta nell’ombra in una regione che si immaginava immune da questa piaga, nonostante in passato fossero stati scoperti altri episodi di caporalato anche in Emilia-Romagna. Non a caso Flai Cgil aveva già denunciato “casi di caporalato e intermediazione di manodopera agricola in tutta la filiera emiliano-romagnola: dai campi ai macelli”.
L’importante opera di indagine svolta dalla Magistratura e dall’Ispettorato del lavoro che ha portato in superficie i nuovi casi nelle campagne romagnole affronta però solo la parte finale del problema, che per essere risolto va analizzato e affrontato nella sua complessità e alla radice.
Per questo motivo, come capogruppo di Europa Verde dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna ho presentato una risoluzione – che lo scorso 21 luglio è stata approvata all’unanimità dalla competente Commissione Politiche Economiche – per impegnare la Giunta regionale a definire e siglare un Patto per il Giusto Compenso al Lavoro Agricolo.
Garantire il giusto compenso ad imprenditori agricoli e braccianti lungo tutta la catena del valore è fondamentale infatti per sottrarre i lavoratori stagionali al caporalato e al lavoro in nero sottopagato, prosciugando il terreno di coltura funzionale a ridurre i costi della manodopera in una situazione in cui il datore di lavoro agricolo sia a sua volta sotto-remunerato dall’acquirente finale. Una situazione di squilibrio nel potere contrattuale tra produttori e acquirenti danneggia anche i circuiti agroalimentari locali, la piccola distribuzione di prossimità e l’agricoltura contadina.
Anche la direttiva 633/2019 del Parlamento europeo sottolinea che “nella filiera agricola e alimentare sono comuni squilibri considerevoli nel potere contrattuale tra fornitori e acquirenti di prodotti agricoli e alimentari. È probabile che tali squilibri di potere contrattuale comportino pratiche commerciali sleali nel momento in cui partner commerciali più grandi e potenti cerchino di imporre determinate pratiche o accordi contrattuali a proprio vantaggio relativamente a una operazione di vendita”.
In questo contesto certamente non aiuta il fatto che, dopo l’approvazione da parte della Camera dei Deputati, sia ancora ferma al Senato la proposta di legge che vieta le aste al doppio ribasso nell’acquisto di prodotti alimentari dai produttori all’origine.
Per contrastare questa deriva, la risoluzione di Europa Verde impegna la Giunta regionale dell’Emilia-Romagna ad attivare su questa questione la Consulta Agricola Regionale, che riunisce associazioni dei produttori agricoli, sindacati di categoria e Grande Distribuzione Organizzata (Gdo), il principale sbocco di mercato per l’ortofrutta proveniente dalle campagne emiliano-romagnole. Questo tavolo di confronto, in cui si chiede di coinvolgere anche l’Ispettorato del lavoro e le organizzazioni del settore biologico, deve diventare la sede per concertare una soluzione strutturale che ristabilisca il giusto equilibrio tra tutti gli attori della filiera.
L’obiettivo è assicurare la trasparenza del prezzo finale dei prodotti agricoli attraverso la ridefinizione delle quote di giusto salario per i lavoratori e di giusto profitto per gli imprenditori. In altre parole, occorre siglare un Patto per il Giusto Compenso al Lavoro Agricolo.
A garanzia di questo Patto, ho inoltre proposto di istituire un marchio di certificazione per i prodotti “liberi dal caporalato”, marchio che può essere collegato a specifiche premialità da inserire nei futuri bandi per l’assegnazione dei fondi del Programma di Sviluppo Rurale. Con questo strumento si potrebbe contrastare alla radice il fenomeno del lavoro in nero e/o sottopagato, rendendo il lavoro agricolo socialmente sostenibile e premiando i produttori onesti.
L’approvazione all’unanimità della risoluzione, con il voto dei partiti di maggioranza e di minoranza, è un primo passo, importante, a fianco dei produttori onesti e dei lavoratori. Una battaglia che riguarda tutti, perché contribuisce a ristabilire la legalità in un pezzo importante del mondo del lavoro e dell’economia.
* Capogruppo Europa Verde e Vice Presidente dell’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna