Con la pandemia da Covid-19 e il conseguente lockdown mondiale che ha tenuto milioni di persone a casa per mesi, tutti noi ci siamo accorti che l’aria stava diventando più pulita e che i livelli di inquinamento stavano scendendo, grazie al crollo del traffico, non soltanto locale ma anche e soprattutto legato a viaggi e commercio mondiale. Ora, i ricercatori del prestigioso MIT (Massachussetts Institute of Technology) hanno però dimostrato che quei cieli tersi hanno avuto un impatto positivo non soltanto sulla nostra salute, ma anche sull’approvvigionamento energetico da fonti rinnovabili, in particolare per quanto riguarda il fotovoltaico, come dimostrato dall’aumento di oltre l’8% della potenza prodotta dagli impianti solari di Delhi, in India.
I risultati dello studio sono stati riportati sulla rivista Joule, in un articolo firmato dal professore di ingegneria meccanica del MIT Tonio Buonassisi, dal ricercatore Ian Marius Peters e da altri tre scienziati provenienti da Singapore e dalla Germania. Lo studio, che rappresenta la continuazione ideale di alcune ricerche già effettuate negli scorsi anni sempre a Delhi, ha analizzato gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla produzione di energia dei pannelli solari.
Al fine di separare gli effetti dell’inquinamento da altre variabili che potrebbero entrare in gioco, come ad esempio le condizioni meteorologiche, i ricercatori hanno incrociato i dati sull’inquinamento atmosferico con quelli meteorologici, appurando che durante i picchi del primo si verificava una diminuzione della produzione di energia solare pari a circa il 10%. Nella situazione specifica verificatasi durante il lockdown inoltre i dati hanno mostrato un calo drastico dell’inquinamento atmosferico, pari a circa il 50%, che ha portato a un incremento nella produzione di energia solare dell’8,3% a fine marzo e del 5,9% ad aprile.
A detta dei ricercatori, queste deviazioni sarebbero molto più grandi di quelle misurabili tipicamente entro uno stesso anno o da un anno all’altro – tre o quattro volte più grandi, tanto che, secondo Peters, parliamo della stessa differenza che intercorre tra la resa di un pannello solare a Houston, in Texas, rispetto a uno montato a Toronto, in Canada. Un aumento dell’8% della produzione potrebbe non sembrare molto, ha aggiunto Buonassisi, ma “i margini di profitto sono molto ridotti per queste aziende”: se quindi una società che si aspetta di ottenere un margine di profitto del 2% dal previsto rendimento del pannello del 100% ottiene invece un rendimento del 108%, avrà aumentato il proprio margine di cinque volte, dal 2% al 10%.
Anche se lo studio si è svolto a Delhi poiché gli effetti dell’inquinamento atmosferico sono più accentuati e facili da rilevare, le deduzioni “sono valide ovunque sia presente un qualche tipo di inquinamento dell’aria. Se lo si riduce, si avranno conseguenze benefiche per i pannelli solari“, come spiegato da Peters, anche se ovviamente i risultati possono variare di molto. Durante il lock down ad esempio l’inquinamento atmosferico è diminuito un po’ in tutta Europa, ma essendo di partenza assai più basso rispetto a quello di Delhi, ha dato luogo ad un incremento trascurabile nella produzione di energia solare. Lo studio resta comunque importante, perché ci consente di dare uno sguardo a un mondo in cui l’inquinamento atmosferico è significativamente inferiore, dimostrando che aumentare l’uso di energia solare, e quindi sostituire la produzione di combustibili fossili che produce inquinamento atmosferico, rende questi pannelli sempre più efficienti.