Il campanello d’allarme è suonato giovedì 23 luglio, quando due badanti romene sono state trovate positive ai controlli presso l’Autostazione Tiburtina, nella Capitale, arrivate a bordo di un pullman proveniente da Bacau. I romeni, fanno sapere dall'unità di crisi, sono totalmente integrati nel tessuto sociale italiano ed è impensabile imporre un blocco come nel caso del Bangladesh
L’esplosione dei contagi da Covid-19 in Romania spaventa l’Italia. E in particolare la città di Roma, dove vive circa il 15% degli 1,2 milioni di romeni residenti stabilmente nel nostro Paese. Una possibile emergenza che ha spinto il ministro della Salute, Roberto Speranza, a firmare un’ordinanza con la quale impone la quarantena “per i cittadini che negli ultimi 14 giorni abbiano soggiornato in Romania e Bulgaria”. Questa misura, ha spiegato Speranza, “è già vigente per tutti i Paesi extra Ue ed extra Schengen. Il virus non è sconfitto e continua a circolare, per questo occorre ancora prudenza e attenzione”.
L’allerta sui paesi dei Carpazi (c’è anche la Moldavia) dura da alcuni giorni, ma il campanello d’allarme è suonato giovedì 23 luglio, quando due badanti romene sono state trovate positive ai controlli presso l’Autostazione Tiburtina, nella Capitale, arrivate a bordo di un pullman proveniente da Bacau. In questo periodo, sono circa 300.000 i romeni che da tutta Italia si muovono verso la loro terra d’origine per le vacanze estive, spostandosi soprattutto in pullman, ma anche in macchina e in aereo. Proprio nella giornata di giovedì, l’assessore regionale del Lazio, Alessio D’Amato, si è mosso con l’Istituto Spallanzani e con il Ministero della Salute per capire come comportarsi, visto che in molti sono già rientrati e hanno ripreso a lavorare. Il timore riguarda proprio le numerose persone che svolgono il lavoro di badanti e assistenti alla persona, e che per questo si trovano giornalmente a contatto con anziani e persone immunodepresse. “Si rischia di trovarci di fronte a un nuovo caos come con le Rsa”, sottolineano dalla Regione.
Il Lazio sta appena uscendo dall’emergenza legata ai migranti del Bangladesh, una comunità molto nutrita (circa 36.000 persone) ma concentrata in pochi quartieri, omogenea e – come nel caso dei test sierologici – facilmente “rintracciabile” anche grazie alle moschee e ai capi comunità. Totalmente diverso il discorso per la Romania: la comunità è totalmente integrata al tessuto sociale italiano, fra famiglie “miste” e persone con doppia cittadinanza, oltre a far riferimento a un paese comunitario che aderisce (seppur parzialmente) a Schengen. “Per questo motivo – spiegano dall’unita’ di crisi della Regione Lazio – è impensabile imporre un blocco come accaduto con il Bangladesh. “C’è grande preoccupazione nella stessa comunità, in tanti stanno decidendo di non partire o di posticipare le vacanze al periodo natalizio”, assicura Iulian Manta, rappresentante della Feneal Uil e sindacalista punto di riferimento della comunità romena. Manta solleva anche un altro tema: “Sta succedendo anche il contrario – racconta – Ci sono molti imprenditori edili italiani che gestiscono cantieri a Timisoara e a Bucarest e che stanno evitando di inviare gli operai italiani. Questo tema è preso molto seriamente”. L’appello è, almeno per quest’anno, a rinunciare alle vacanze: “Chi può lasci perdere, chi ha già fatto le ferie, si faccia fare il test sierologico. Serve senso di responsabilità da parte di tutti”.
La possibilità che vi sia una seconda ondata “di ritorno” spaventa anche l’Istituto Spallanzani. Nell’ultima settimana, sui 117 casi rilevati nel Lazio, ben 69 sono “di importazione”. In totale, fanno sapere dall’unità di crisi regionale, il virus è entrato nella Capitale e nel suo hinterland da ben 25 paesi diversi. Il team diretto da Giuseppe Ippolito sta studiando la possibilità di introdurre a breve quelli che vengono chiamati “tamponi rapidi” e che consentirebbe da un lato di allargare i test sulla popolazione, dall’altra di eseguire i controlli direttamente negli aeroporti o presso le bus-station delle principali città. Ci vorrà ancora un po’ di tempo, tuttavia, affinché questi test raggiungano un’attendibilità accettabile. Nel frattempo la Regione Lazio sta pensando di ampliare l’offerta di test sierologici attraverso l’aumento delle unità mobili.
Come avvenuto con lo stop agli arrivi dal Bangladesh e da altri 13 stati richiesto a gran voce e infine ottenuto di fronte ai dati “empirici”, anche stavolta da Roma partono appelli al “protezionismo” in direzione del governo nazionale. Anche perché il tema riguarda tutto lo Stivale. Fonti qualificate de Ilfattoquotidiano.it assicurano che nei giorni scorsi D’Amato ha sondato il terreno con il ministro della Salute, Roberto Speranza, e con quello degli Esteri, Luigi Di Maio, per chiedere una “chiusura totale sul modello del Grecia”. Come avvenuto per la paventata ordinanza che avrebbe dovuto obbligare la mascherina anche all’aperto, la risposta per ora è stata un secco “non se ne parla”.