Assolta per legittima difesa: è l’esito del processo con rito abbreviato nei confronti di Aurela Perhati, 25 anni, di Ovada, accusata dell’omicidio di Massimo Garitta, trovato senza vita in un campo il Capodanno 2019. Era accusata di aver investito il 53enne che, come lei riferì, voleva violentarla. Disposta l’immediata liberazione dagli arresti domiciliari. La giovane era stata fermata il 4 gennaio dai carabinieri. Dopo un lungo interrogatorio, aveva confessato di avere investito l’uomo, trovato morto, ma non con l’intenzione di ucciderlo. Di parere diverso l’accusa, che aveva chiesto 8 anni per la donna: per il pm le tracce lasciate dall’auto erano indicative di una precisa volontà dell’omicida. Il giudice di Alessandria ha però lasciato cadere tutte le accuse.
Secondo ciò che emerse nei giorni dell’inchiesta Perhati investì Garitta con la sua utilitaria dopo un breve tragitto sull’auto insieme, dal centro della città alessandrina alla periferia. Alcuni testimoni videro la coppia sull’auto, una Ypsilon di colore scuro, nel centro di Ovada. Poco dopo il corpo di Garitta, disoccupato, seguito dai servizi di igiene mentale e da un assistente di sostegno, fu scoperto in un campo lungo la strada provinciale verso la Liguria, con le tracce di un investimento e i segni delle ruote di un’auto marcate tutt’attorno. A notare il cadavere era stato un passeggero di un treno regionale Genova-Acqui Terme. Aurela Perhati vive con i genitori, in Italia da 23 anni, e una sorella più giovane. Prima dei fatti lavorava come commessa ed era in cerca di un’altra occupazione. I carabinieri erano risaliti a lei grazie alle immagini delle telecamere di sorveglianza e alle testimonianze raccolte. Ma l’elemento decisivo è stato il marchio di fabbrica della marmitta della Ypsilon della giovane donna, rimasto impresso sul giaccone della vittima. Numeri, lettere e logo ben distinguibili di una marmitta su diversi modelli del marchio Fca.