Da giorni i fedelissimi del leader del Likud stanno facendo circolare l’intenzione del loro leader di andare di nuovo a elezioni dopo settimane di scontri dentro la coalizione con Kahol Lavan (Blu e Bianco). L'obiettivo è quello di riprendersi il ministero della Giustizia, guidato da Avi Nissenkorn, che ha difeso il sistema legale di fronte alle sue affermazioni - non comprovate - secondo le quali il premier è vittima di un “tentativo di colpo di Stato”
Il presidente Reuven Rivlin non l’ha mandata a dire ai parlamentari della Knesset: “Lo Stato non è una bambola di pezza che ti trascini dietro come vuoi”. Esasperato dalle voci ricorrenti di nuove elezioni in novembre, il capo dello Stato ha perso la pazienza. Quattro elezioni in meno di un anno – sempre con lo stesso candidato premier – sarebbero un record da Repubblica delle banane che minerebbe la credibilità dello Stato e della stessa democrazia israeliana.
Da giorni i fedelissimi del premier Benjamin Netanyahu stanno facendo circolare l’intenzione del loro leader di andare di nuovo al voto dopo settimane di scontri dentro la coalizione con Kahol Lavan (Blu e Bianco). I timori del leader del Likud vengono dalla decisione del Tribunale di Gerusalemme della scorsa settimana di iniziare ad ascoltare i testimoni del processo contro di lui (per frode, corruzione, abuso di potere) dal prossimo gennaio, con audizioni che si terranno tre volte a settimana. Netanyahu teme che l’Alta Corte accetti una delle tante petizioni che chiedono che gli sia vietato di servire come premier durante il processo. E che il Procuratore Generale Avichai Mandelblit, un suo ex avvocato che però ora è percepito come nemico, possa appoggiare tale posizione. Con un nuovo governo in novembre o dicembre Netanyahu e il Likud vorrebbero riprendersi il ministero della Giustizia che, come quello della Difesa è nelle mani di Kahol Lavan, e spingere per un rinvio “sine die” del processo.
Il rimprovero pubblico di Rivlin, mai così duro finora, è arrivato dopo che due deputati senior del Likud avevano minacciato nuove elezioni e dopo che mercoledì sera Netanyahu aveva deciso di non approvare il bilancio statale entro fine agosto, una mossa che, paralizzando lo Stato, può innescare nuove elezioni a novembre.
Giovedì sera presentando dopo mille pressioni il nuovo “zar” contro il coronavirus – l’ex ministro della Salute Ronnie Gamzu – Netanyahu ha cercato di smentire l’ondata di voci su nuove elezioni. Lo ha fatto a modo suo, scaricando sull’alleato-nemico Benny Gantz ogni responsabilità. “Andare a votare ancora sarebbe assurdo, l’unica ragione per farlo è se non sarà approvata la legge Finanziaria”, ha detto il premier, conscio del fatto che l’accordo di governo prevede una Finanziaria per 2 anni, mentre la sua proposta è di una legge “short” soltanto per l’anno in corso.
Citando fonti interne al Likud, il quotidiano Haaretz scrive che il premier sta cercando di creare un senso di caos nella coalizione per trovare un pubblico sostegno alla rottura del governo. L’attuale esecutivo, guidato dal Likud di Netanyahu e da Kahol Lavan dell’ex generale Benny Gantz che è “premier supplente” e ministro della Difesa, ha prestato giuramento a maggio dopo una crisi di 508 giorni che ha visto Israele precipitare attraverso tre round elettorali inconcludenti. Sebbene Gantz avesse fatto una campagna per non entrare a far parte di un governo guidato da Netanyahu per le accuse al primo ministro di corruzione, l’emergenza della pandemia – ha spiegato all’epoca lo stesso Gantz – ha rovesciato le carte spingendo Kahol Lavan ad accettare di entrare in una coalizione con il leader del Likud.
Gli uomini della cerchia più ristretta di Netanyahu non fanno mistero che l’obiettivo principale del premier nel tornare alle urne sia quello di riguadagnare il controllo del ministero della Giustizia. Il dicastero è ora nelle mani di Avi Nissenkorn (Kahol Lavan), che ha difeso il sistema legale di fronte alle affermazioni – non comprovate – di Netanyahu e dei suoi alleati secondo le quali il premier è vittima di un “tentativo di colpo di Stato”. Il premier è consapevole dei rischi di un altro voto – che avverrebbe quando Israele sarà ancora impantanato nella pandemia che non accenna a calare e in preda a una grave crisi economica – ma ha deciso che è la migliore delle alternative e certamente non ha intenzione di onorare l’accordo di rotazione – previsto dal “contratto” di governo – che vedrebbe Gantz subentrargli come primo ministro nel novembre 2021. L’ex capo di stato maggiore delle Forze di Difesa e i suoi fanno professione di ottimismo, pensano che sia un bluff. Non credono che Netanyahu voglia davvero nuove elezioni e sperano ancora che si possa votare una legge di Bilancio come previsto. I soci di Netanyahu sostengono di avere la maggioranza per approvare un budget a breve termine anche senza il supporto di Kahol Lavan, ma si rifiutano di dire dove potrebbero ottenere i voti.
I sondaggi più recenti prevedono che, insieme ai tre partiti religiosi di destra, il Likud otterrebbe ancora la maggioranza alla Knesset in caso di un nuovo voto. Ma hanno anche mostrato un forte calo della popolarità di Netanyahu per la gestione della pandemia, specie per quanto riguarda la ricaduta economica. Da settimane vanno avanti proteste contro il premier – spesso represse duramente dalla polizia – come giovedì sera a Gerusalemme, con 55 arresti, ma l’opposizione è frazionata e non riesce a partorire un vero leader da poter contrapporre – con possibilità di farcela – all’uomo che da vent’anni domina la scena politica israeliana.