Il boss di Brancaccio e quello che la Dda ritiene esponente della cosca Piromalli sono stati ritenuti responsabili degli omicidi di Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, consumati il 18 gennaio 1994, poco prima della bomba all'Olimpico. Secondo i pm è un tassello della strategia stragista che tra il 1992 e il 1994, dietro alla quale - per gli inquirenti - si nascondevano anche pezzi di politica e istituzioni e pezzi di Servizi deviati
“Fine pena mai”. Dopo quasi tre anni di udienze, la Corte d’Assise di Reggio Calabria, presieduta dal giudice Ornella Pastore, si era ritirata martedì per decidere sulle sorti del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e di Rocco Santo Filippone, ritenuto dalla Dda espressione della cosca Piromalli di Gioia Tauro. Sono serviti tre giorni di camera di consiglio per arrivare alla sentenza del processo ‘Ndrangheta stagista, emessa pochi minuti fa. E il verdetto non lascia margini di discussione: ergastolo per i due imputati accusati del duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, consumato il 18 gennaio 1994 e considerato dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo un tassello della strategia stragista di Cosa Nostra e ‘Ndrangheta. Pochi giorni dopo, il 23 gennaio, era previsto “il colpo di grazia” ordinato da Graviano al suo fedelissimo Gaspare Spatuzza, cioè l’attentato all’Olimpico durante la partita Roma-Udinese, poi fallito. In attesa di leggere le motivazioni della sentenza – che arriverà tra 90 giorni – si può certamente affermare che, così come sostenuto dalla Dda, quell’attentato e gli altri due agguati ai danni di pattuglie dell’Arma sono da considerarsi “stragi continentali”.
La Corte d’Assise, quindi, ha accolto le richieste del procuratore Giovanni Bombardieri presente in aula a fianco del collega Lombardo durante la lettura della sentenza con cui, dopo 24 anni, lo Stato è riuscito a individuare e a dare un volto ai mandanti dell’omicidio Fava e Garofalo. Anche dalle loro morti è passato uno dei momenti più bui del nostro Paese. Questa sentenza, seppur ancora di primo grado, aggiunge un tassello di verità su quelle stragi che a colpi di bombe insanguinarono l’Italia tra il 1992 e 1994. Dietro quegli attentati, per il procuratore aggiunto Lombardo, c’era “un comitato d’affari che comprende al suo interno ‘Ndrangheta, Mafia siciliana, politica collusa, pezzi di istituzioni e pezzi di servizi segreti. I pezzi di un sistema che incredibilmente convergono per rappresentare uno scenario che questa nazione non meritava di vivere né in quegli anni né in anni diversi”.
Nel corso della sua requisitoria, durata cinque udienze, il pm ha fatto riferimento più volte al contesto politico che caratterizzava l’Italia nel periodo delle stragi consumate in continente. Consumate e anche tentate: come il famoso “colpo di grazia” che, dopo gli attentati ai carabinieri in Calabria, Graviano aveva ordinato a Spatuzza, poi diventato collaboratore di giustizia. “Il colpo di grazia” doveva essere il fallito attentato all’Olimpico, dove dovevano morire decine di carabinieri che si sono salvati perché si è inceppato il telecomando collegato all’esplosivo. “Non è che la fretta di Graviano per portare a termine il fallito attentato all’Olimpico era legata al fatto che la settimana dopo sarebbe stata annunciata la discesa in campo di Berlusconi?”. Si è domandato il procuratore aggiunto Lombardo durante il suo intervento in parte incentrato sul collegamento tra la strategia stragista di Cosa nostra e ‘Ndrangeta e la fondazione di Forza Italia.
Riassumendo le dichiarazioni del pentito Giuseppe Di Giacomo, nella sua memoria il pm ha ricordato i passaggi in cui il collaboratore di giustizia ha precisato che “Riina aveva coinvolto i calabresi ed i napoletani nella strategia non solo sul versante puramente stragista ma anche in quello politico, che prevedeva il massiccio sostegno elettorale da dare a Forza Italia”. Abbandonati, quindi, i progetti separatisti di Sicilia Libera, dopo le amministrative dell’ottobre 1993, vinte dal Pds di Achille Occhetto, le mafie hanno appoggiato il partito di Berlusconi, nato il 26 gennaio 1994 il giorno prima dell’arresto di Giuseppe e Filippo Graviano. Che Cosa nostra e ‘Ndrangheta avessero trovato un interlocutore è un concetto espresso più volte addirittura dal boss di Brancaccio.
“Nello stesso modo – è scritto nella memoria del pm depositata agli atti della Corte d’Assise – il Graviano, nel corso delle confidenze fatte all’Adinolfi, confermate nel corso del suo esame dibattimentale, conferma come il progetto separatista venne di fatto superato tra la fine del 1993 e gli inizi del 1994, nel momento in cui si registrò la formale discesa in campo di Silvio Berlusconi e la creazione del movimento politico Forza Italia (il cui progetto era a lui noto già dal metà del 1992). Tale nuova entità politica otteneva l’appoggio delle mafie sulla base di un accordo che prevedeva, fra l’altro, proprio la rivisitazione migliorativa per i detenuti della disciplina dettata dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario. Che tale accordo fosse effettivo lo si ricava dal particolare risentimento che il Graviano manifesta, nel corso dei colloqui intercettati, nei confronti di Silvio Berlusconi, al quale rimprovera di aver disatteso sostanzialmente tali patti”.
Nei mesi scorsi Graviano (difeso dall’avvocato Giuseppe Aloisio) ha ripetuto in aula più volte il nome dell’ex presidente del consiglio quando, a sorpresa, ha prima deciso di parlare, mandando messaggi trasversali, e poi si è chiuso nel silenzio che lo ha accompagnato nei suoi 26 anni di carcere. Il boss di Brancaccio ha sostenuto di essere stato in affari con Silvio Berlusconi, grazie agli investimenti compiuti dal nonno a Milano negli anni ’60 e ’70. Ma ha parlato anche di “imprenditori di Milano” che non volevano fermare le stragi. Circostanza che si collega al famoso “colpo di grazia” del fallito attentato all’Olimpico. A proposito di Berlusconi, poco prima che la Corte d’Assise si ritirasse in camera di consiglio, Graviano ha inviato un memoriale ai giudici nel quale accusa il leader di Forza Italia di avere avuto “un ruolo strategico” nella sua cattura. In sostanza, i Graviano in carcere “hanno fatto guadagnare al signor Berlusconi – scrive il boss di Brancaccio – la cifra di ben 20 miliardi di lire, che si dovevano tradurre nel 20% degli investimenti fatti negli anni dallo stesso”. “Non l’ho ringraziato formalmente Graviano per quello che ci ha detto nel corso dell’esame? – è il magistrato Lombardo che si è fatto questa domanda nel corso della requisitoria dandosi subito la risposta – Mi pare di si, perché ci ha spiegato che quel momento storico è un momento in cui la sua storia, la storia di Cosa nostra, la storia della ‘ndrangheta, procede di pari passo con la storia del movimento politico che verrà annunciato il 26 gennaio di quell’anno: Forza Italia”.
Ed è sempre la memoria del procuratore aggiunto a fornire una lettura di quello che è successo nei primi anni novanta: “Se risulta dimostrato – scrive Lombardo – che, dopo quarant’anni di sostegno ai vecchi partiti, Cosa Nostra e ‘Ndrangheta, compirono, d’improvviso, contemporaneamente ed all’unisono, non solo la scelta di abbandonare i vecchi referenti ma, anche, quella di dare sostegno ai medesimi nuovi soggetti, esclusa una involontaria e potente telepatia fra i capi dei due sodalizi, risulta evidente l’esistenza di una comune strategia di attacco e ribellione alla vecchia classe politica da parte di Cosa Nostra e ‘Ndrangheta, che, sul fronte più strettamente criminale, aveva come sua logica prosecuzione l’attuazione della strategia terroristica. Strategia che, in questo quadro di complessiva concertazione ed allineamento fra le due organizzazioni criminali sulla posizione da prendere nei confronti dello Stato e della vecchia classe politica, ben difficilmente, poteva essere portata avanti in assoluta solitudine da Cosa Nostra. In ordine al ruolo assunto da Forza Italia, e dai suoi fondatori Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, nella più ampia dinamica politico-criminale di cui parla Giuseppe Graviano, si rilevano invero contenuti di assoluto interesse gravemente indiziario”.
La frase pronunciata in carcere da Graviano (“Silvio Berlusconi un traditore”) il boss di Brancaccio “non l’ha mai smentita”. “Anzi, – ha ricordato il procuratore Lombardo – il 14 marzo 2017 parlando di Berlusconi ha aggiunto: ‘L’autore è lui, mi ha tradito per una questione di soldi’”. Come ha spiegato il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho nelle settimane scorse, “questa è una parte che evidentemente riguarda altre indagini”. Dopo l’estate, la Corte d’Assise depositerà le motivazioni della sentenza dopo le quali gli avvocati Giuseppe Aloisio, Federico Vianelli, Guido Contestabile e Angelo Sorace valuteranno se fare appello. Intanto i due ergastoli inflitti oggi confermano quanto ribadito in aula dalla Procura secondo cui l’omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo e gli altri due tentati omicidi servivano a far capire che “Cosa nostra non era sola e che il ruolo della ‘ndrangheta non è stato secondario nel braccio di ferro con lo Stato”. Per dirla utilizzando le stesse parole del procuratore aggiunto Lombardo, quella è stata “una stagione stragista riferibile a un sistema criminale che va oltre le mafie”.