di Tullio Rapone
Le prossime elezioni in Bielorussia sembrano seguire un copione già visto. Candidati esclusi per i motivi più disparati se non peggio, sovraesposizione mediatica del Presidente uscente Lukashenko col sostegno, più o meno velato, della Chiesa Ortodossa eccetera. Per noi non è facile accettare un personaggio che, dopo aver vinto le elezioni nei primi anni ‘90, non se ne è più andato.
Definito “l’ultimo dittatore in Europa”, in uno Stato dove ancora vige la pena di morte e i servizi segreti si chiamano ancora Kgb, Lukashenko vincerà sicuramente anche questa volta. Putin potrà dormire sonni tranquilli senza avere un’altra Ucraina sotto casa e Lukashenko continuerà a far finta di litigare col suo potente alleato sulle forniture di gas e petrolio. Uno dei tanti esempi di mezza democrazia, come l’Egitto, che poi tante volte sono peggio delle dittature? Non è proprio così, anche se sui diritti umani la strada da percorrere in Bielorussia è ancora lunga. E anche il modo di gestire l’emergenza Covid non è stato proprio il massimo.
Il percorso compiuto dalla Bielorussia negli ultimi anni è da considerarsi, però, tutt’altro che negativo. Se l’Ue ha attenuato la propria rigidità, se i rapporti col Vaticano sono migliorati nonostante sia ancora lontana l’ipotesi di un viaggio a Mosca del Papa, è anche merito di progressi che vanno riconosciuti. Almeno nelle città il livello di vita è migliorato. C’è un’attenzione per la cultura e l’arte che sorprende.
Quello che colpisce, girando per la capitale Minsk, è vedere tanti giovani con strumenti musicali a tracolla di ogni tipo. Una vivacità che contrasta con l’immagine di un popolo allo stremo e oppresso da una feroce dittatura. Diverso è il discorso nelle campagne dove ancora sussistono sacche di povertà e degrado fortissime. Per non parlare della piaga dell’alcolismo che nei paesi dell’est persiste ancora. Ma non dimentichiamo il dramma della Bielorussia nella Seconda guerra mondiale quando dovette sorbirsi gli orrori dell’esercito nazista in avanzata e ritirata.
Per cause legate alla guerra morì una persona su quattro. Quasi tutte le città dovettero essere ricostruite dal nulla e tante furono le Fosse Ardeatine bielorusse. Una storia diversa da quella dell’Occidente. Qui alla dittatura zarista seguì quella stalinista e lo sbocco sono state Istituzioni politiche sicuramente meno democratiche delle nostre. Ma può essere la soluzione, a Minsk come ad Hong Kong, quella di legarsi mani e piedi a Usa e Ue? Perché il programma dell’opposizione è sostanzialmente questo.
Abbiamo visto come sia finita in Ucraina. In nome della democrazia, il Paese è divenuto una rampa di lancio di missili contro la Russia, né più né meno come le repubbliche baltiche e gli altri stati, nazionalisti e conservatori dell’est che ben conosciamo. Può esistere una soluzione di non allineamento per la Bielorussia che da una parte la sganci da Putin senza farla finire nelle grinfie della Nato e del Fondo Monetario Internazionale? Oggi purtroppo no.
E allora, forse, meglio puntare su una lenta, contraddittoria, quanto costante evoluzione dell’attuale regime che in qualche modo sta avvenendo. Il Medio Oriente insegna come portare la democrazia con bombe e cannoni sia l’anticamera dell’inferno. Ma anche con euro e dollari in prestito, come in Grecia, il paradiso è lontano.