Il 19 maggio, allertato da un'intervista di report di quattro giorni prima, il governatore chiese all'Unione Fiduciaria di effettuare un bonifico da un suo conto personale in favore della Dama spa: 250mila euro, il mancato profitto della vendita dei dispositivi. Operazione che la fiduciaria ha segnalato alla Banca d'Italia come sospetta e che, scrive il Corriere, dimostra come il leghista fosse al corrente dell'operazione nonostante se ne dichiarasse totalmente estraneo. "Nelle dichiarazioni richieste dalle norme sulla trasparenza sono riportati nel dettaglio i miei patrimoni, non vi è nulla di nascosto e non vi è nulla su cui basare falsi scoop mediatici", ha scritto su Facebook il presidente Fontana, rimandando al mittente le accuse
“Frode in pubbliche forniture”. È questa l’accusa con la quale, in concorso con il cognato, Andrea Dini, che gestisce la Dama spa, e il dg dimissionario di Aria Spa (la Centrale acquisti regionale), Filippo Bongiovanni, la Procura di Milano ha iscritto nel registro degli indagati il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, nell’inchiesta sulla fornitura di camici durante l’emergenza coronavirus resa pubblica da due inchieste di Report e del Fatto Quotidiano.
E al centro delle verifiche dei pm dell’aggiunto Maurizio Romanelli e della Guardia di Finanza c’è proprio il ruolo svolto dal governatore che, fino al 7 giugno, si era dichiarato estraneo alla procedura: “Non ne sapevo nulla e non sono mai intervenuto in alcun modo”. Ma come racconta il Corriere della Sera, con parte dei soldi di un conto in Svizzera a suo nome, sul quale nel 2015 aveva fatto uno “scudo fiscale” per 5,3 milioni detenuti fino ad allora da due trust alle Bahamas, il leghista cercò di effettuare già il 19 maggio, allertato da un’intervista di Report quattro giorni prima, un bonifico sospetto da 250mila euro in favore della Dama spa del cognato e, per il 10%, della moglie Roberta: in poche parole, la cifra corrispondente al mancato profitto del parente causato dal provvedimento che Fontana prenderà il giorno dopo, ossia quello di trasformare la vendita dei 75mila camici alla Regione in donazione e la rinuncia dell’azienda a farsi pagare dalla Regione i 49.353 camici e i 7.000 set già consegnati.
Un’operazione che ha fatto scattare l’allarme nell’Unione Fiduciaria, incaricata da Fontana del bonifico, che così blocca il pagamento perché in base alla normativa antiriciclaggio non ravvisa una causale coerente con il bonifico, disposto oltretutto da un soggetto “sensibile” per l’incarico politico. E così la fiduciaria, in segreto, fa una segnalazione di operazione sospetta all’Unità di informazione finanziaria di Banca d’Italia, che la gira alla Guardia di Finanza e alla Procura che iniziano a indagare sul ruolo di Fontana nella vicenda. Poco dopo, i finanzieri si recano nella sede dell’Unione Fiduciaria, acquisiscono gli atti e il 9 giugno ascoltano il responsabile della Funzione antiriciclaggio. Due giorni dopo, l’11 giugno, Fontana chiede alla fiduciaria di non effettuare più il bonifico richiesto con grande urgenza. È lo stesso procuratore Romanelli a spiegare che “il fascicolo sulla fornitura dei camici viene aperto sulla base di una segnalazione di operazioni sospette trasmesso alla Procura di Milano dal nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza”.
Una ricostruzione che il governatore Fontana rimanda al mittente. “Nelle dichiarazioni richieste dalle norme sulla trasparenza sono riportati nel dettaglio i miei patrimoni, non vi è nulla di nascosto e non vi è nulla su cui basare falsi scoop mediatici”, ha scritto in un post su Facebook. “Adesso qualche ora di riposo, da domani si riprende come sempre il lavoro alla guida della Regione più bella del mondo”.
Alla base delle indagini resta il sospetto che il presidente lombardo, a differenza di quanto dichiarato fino al 7 giugno, sapesse da almeno tre settimane cosa stesse succedendo con l’affare camici, pur continuando a dichiarare la propria estraneità ai fatti. Se questo venisse confermato, costituirebbe una violazione del “Patto di integrità” contro il conflitto d’interesse. Secondo il Corriere, Fontana ha saputo fin da subito dell’affare, dato che a informarlo fu il suo assessore Raffaele Cattaneo, capo dell’unità di emergenza che cercava di reperire il maggior numero di camici possibili nei giorni dell’emergenza Covid.
Nel frattempo, il cognato invece di regalare ad Aria spa anche i 25mila restanti camici degli iniziali 75mila tramutati in donazione alla Regione, per rifarsi del mancato guadagno cercò di rivenderli alla casa di cura varesina Le Terrazze a 9 euro l’uno anziché 6. Nell’interrogatorio di Bongiovanni (difeso dall’avvocato Domenico Aiello, storico fedelissimo di Roberto Maroni e pure collaboratore legale del Carroccio), si è capito che i pm stanno infatti verificando se Dini potesse sottrarsi al dovere contrattuale di fornire alla Regione l’intera quantità di dispositivi come da accordo. Resta il fatto, però, che Palazzo Lombardia non li pretese. Ecco perché Bongiovanni e Dini, sinora indagati per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente, lo sono ora anche per l’ipotesi di frode in pubbliche forniture.
Rimane infine la questione della provenienza dei soldi per il bonifico. Come detto, questi sono stati recuperati da un conto svizzero di Fontana nella banca Ubs Ag completamente lecito. L’aspetto più delicato è che questi 5,3 milioni, senza che il governatore ne avesse mai parlato pubblicamente, sono frutto di una voluntary disclosure, cioè della legge per favorire il rientro di capitali illecitamente detenuti all’estero. Nel settembre 2015, dopo la morte in giugno della madre Maria Giovanna Brunella, Fontana “scudò” i 5,3 milioni, detenuti in Svizzera da due trust, creati alle Bahamas nel 2005 quando Fontana presiedeva il Consiglio regionale, e nei quali la madre dentista figurava “intestataria”, mentre Fontana risultava in uno il “soggetto delegato” e nell’altro il “beneficiario economico”.
Legale Fontana: “Non capisco che reato abbia commesso”. Salvini: “Malagiustizia”
“Da pochi minuti ho appreso con voi di essere stato iscritto nel registro degli indagati – ha commentato Fontana poco dopo la pubblicazione della notizia – Duole conoscere questo evento, con le sue ripercussioni umane, da fonti di stampa. Sono certo dell’operato della Regione Lombardia che rappresento con responsabilità”.
Il suo avvocato, Jacopo Pensa, contesta l’ipotesi di reato a carico del suo assistito: “Con la mia preparazione non sono in grado di capire che reato avrebbe commesso Fontana – ha dichiarato – Non ho nessun atto in mano e devo studiare per capire qual è il reato che ipotizzano i pm nei confronti del governatore lombardo che dice al cognato di rinunciare a farsi pagare”. E conclude: “La procura non contesta a Fontana di essersi interessato della fornitura, anche perché ha ben altre cose più importanti a cui pensare, ma di essersi posto uno scrupolo quando si è accorto della stessa e ha chiesto al cognato di rinunciare ai soldi per salvaguardare la limpidezza dell’operazione”.
In difesa del governatore è accorso anche Matteo Salvini che si è scagliato contro i pm: “Attilio Fontana ‘indagato’ perché un’azienda ha regalato migliaia di camici ai medici lombardi. Ma vi pare normale? La Lombardia, le sue istituzioni, i suoi medici, le sue aziende e i suoi morti meritano rispetto. Malagiustizia a senso unico e ‘alla Palamara’, non se ne può più”, ha scritto il leader del Carroccio su Twitter.