“Controllare quello che avviene nella caserme“, verificare cosa pubblicano i carabinieri “sui loro profili social” e soprattutto “proteggere chi decide di denunciare” eventuali abusi. Marco De Paolis oggi è procuratore militare presso la Corte d’Appello di Roma e per anni si è occupato di inchieste riguardanti ufficiali e sottufficiali dell’Arma. Ha gestito il caso dello stupro delle due studentesse americane a Firenze e le violenze di Massa Carrara, mentre in passato ha rappresentato l’accusa nel processo per la strage di Sant’Anna di Stazzema e per altri eccidi commessi dai tedeschi in Italia. Di fronte a casi come quello dei carabinieri arrestati a Piacenza, De Paolis non ha dubbi su quali misure adottare. Intervistato dal Corriere della Sera, a suo parere si tratta di “gruppi di delinquenti che fuori controllo diventano un vero e proprio focolaio capace di infettare l’intera caserma“. Per questo è sbagliato parlare di un “sistema di impunità”, ma è altrettanto errato sminuire i fatti bollando i militari coinvolti come “mele marce“.
L’immagine dell’arma e il rischio ritorsioni per chi denuncia – “Dobbiamo ripartire dalla formazione e dall’etica”, spiega. Una parola che dentro l’Arma (definita dal magistrato “un pilastro dello Stato”) ha un peso specifico non da poco: “Basti pensare che per i militari la codardia è un reato”, tanto che “al momento la segnalazione di illeciti compiuti da altri militari viene ritenuta contraria all’etica, anche perché si danneggia l’immagine del reparto“. Secondo De Paolis questo è un problema cruciale, perché chi denuncia non è tutelato e in molti casi “si temono le ritorsioni“. In realtà per i funzionari dello Stato un obbligo in tal senso esiste già, ma non basta. “È arrivato il momento di prevedere, almeno per un certo periodo di tempo, il whistleblowing anche per le forze dell’ordine”, propone il procuratore, “garantendo loro la protezione se decidono di denunciare casi di corruzione altri reati. Bisogna tutelare le persone che segnalano le disfunzioni altrimenti le perdiamo”.
“Cambiare la mentalità anche a livello apicale” – Secondo De Paolis, tutto ruota intorno allo spirito di corpo su cui si fondano le forze dell’ordine. “Se lo si abusa può diventare un illecito strumento di impunità – spiega al quotidiano di via Solferino – poiché può indurre taluno a non denunciare eventuali illeciti per evitare di danneggiare l’immagine del corpo”. Da qui il rischio di costringere al silenzio carabinieri o militari che altrimenti potrebbero testimoniare contro gli abusi. La soluzione, aggiunge il procuratore, è quella di verificare “la vita privata” dei membri di un’istituzione come l’Arma. “Anche a livello apicale deve cambiare la mentalità, ridimensionando il carrierismo fine a sé stesso” e storture come gli encomi dati a chi effettua più arresti. “L’arresto non vale nulla se non viene convalidato“, conclude. “Cambiare questo modo di calcolare la produttività sarebbe fondamentale”. Lo dimostrano anche le indagini di Piacenza che, secondo De Paolis, devono convincere i vertici dell’Arma a cambiare radicalmente approccio. “Non farlo sarebbe un errore gravissimo. Un colpo letale per l’istituzione”.
Businarolo (M5s): “Una legge su whistleblowing già c’è, ma va applicata” – “Il sistema di protezione di chi segnala illeciti è già in vigore nella pubblica amministrazione, nelle aziende private che hanno adeguato i loro strumenti interni ed anche nelle Forze armate”, spiega la deputata del Movimento 5 stelle Francesca Businarolo, presidente della commissione Giustizia alla Camera. Una questione controversa in realtà, perché la validità della legge anche per esercito e carabinieri è stata indirettamente riconosciuta dall’Anac nel 2018, quando l’allora presidente Raffaele Cantone fece sapere di voler accertare l’eventuale violazione delle norme sul whistleblowing per Riccardo Casamassima, testimone chiave nella vicenda di Stefano Cucchi e per questo oggetto di presunte ritorsioni da parte dell’Arma. Secondo Businarolo, De Paolis ha comunque ragione quando parla di “gruppi di delinquenti fuori controllo” e sottolinea la necessità di “mettere nelle condizioni giuste chi vede ma ha paura di parlare“. Il problema, aggiunge, si risolverebbe “se anche nelle Forze armate si applicasse questa norma”. Le cose potrebbero cambiare quando il Parlamento sarà chiamato a settembre ad approvare una legge che recepisce la direttiva europea in materia di whistleblowing. “Prevede norme molto avanzate”, spiega la deputata, per cui “non perdiamo questa occasione“.