“A Rivergaro e a Bobbio gli devo fare un culo così, è una questione di orgoglio, mi gira il culo che gente che rispetto a voi non vale un cazzo fa i figurini con il colonnello, con il comandante della Legione”. Per l’ex comandante della compagnia carabinieri di Piacenza, il maggiore Stefano Bezzeccheri, c’è in gioco la “dignità” di fronte ai colleghi in servizio nei paesi vicini nel numero di arresti eseguiti dalla sua caserma. Tanto che il carabiniere Peppe Montella, nella conversazione intercettata dagli inquirenti, accoglie subito la sua richiesta: “Adesso vediamo di farne il più possibile, anche settimana prossima, almeno di farne altri tre-quattro“. E poco importa se, come sospettano i pm, in manette siano finiti anche cittadini innocenti o presunti spacciatori arrestati solo per fare numero. “Il massimo risultato con il minimo sforzo… Bravo!”, replica Bezzeccheri a Montella, considerato il dominus dei presunti affari illeciti nella caserma Levante. Una definizione che però lo stesso carabiniere, interrogato oggi dal gip per la prima volta, rimanda al mittente. I suoi legali hanno ammesso che “si può sbagliare, si possono fare errori per ingenuità, vanità, per tante cose”, ma non ci sarebbe stata alcuna “regia” dietro agli episodi attenzionati dai magistrati. In attesa dei prossimi interrogatori di garanzia, è dalle carte dei pm che emergono nuovi dettagli sui presunti falsi arresti perpetrati per anni dai militari e definiti dal gip “un obiettivo a ogni costo“. Alla base c’è infatti un meccanismo di encomi – previsto dall’Arma per chi ne fa di più – che secondo il procuratore militare Marco De Paolis deve essere riformato.

Il tariffario della droga – L’altra faccia della medaglia è il ritorno economico che ne sarebbe derivato per Montella. “Devo prendere una panetta (di hashish, ndr) e faccio gli ovuli. Minchia, gli ovuli li vendiamo subito. Ogni ovulo lo vendo a 100-120 euro“, dice in un’intercettazione il 36enne di Pomigliano d’Arco. “Li vendo a occhi chiusi, che spettacolo. Io se gli faccio vedere gli ovuli quello impazzisce”, prosegue Montella parlando con Daniele Giardino, uno dei pusher finiti in carcere. La conversazione, che dimostrerebbe il tariffario della droga fissato da Montella per alimentare i suoi guadagni, è finita negli atti d’indagine dei pm che stanno trapelando in queste ore. Un ulteriore tassello per capire il modus operandi dell’appuntato, capace secondo il gip “di mascherarsi per anni da servitore dello Stato per perseguire esclusivamente i suoi scopi illeciti”, grazie anche alla “complicità” dei colleghi. In sostanza il ricorso “in modo massiccio alla pratica degli arresti arbitrari di piccoli spacciatori”, si legge nell’ordinanza cautelare, aveva un duplice scopo: da un lato “appropriarsi dello stupefacente da loro custodito” ed “eliminare la concorrenza” sulle piazze dello spaccio, dall’altro agevolare le richieste dei superiori. Per il giudice, infatti, il loro unico interesse era quello di fare più arresti possibili “per potervi costruire prospettive di carriera, senza preoccuparsi delle modalità con le quali gli stessi venissero effettuati”.

Rapporti gerarchici capovolti – Dalle indagini è emerso poi come l’ex comandante Bezzecchieri, ora sottoposto all’obbligo di dimora, avesse un rapporto privilegiato con Montella, scavalcando il suo diretto superiore, Marco Orlando, finito ai domiciliari. “Io voglio parlare direttamente con voi, poi Orlando lo metto a posto io – dice Bezzecchieri in un’intercettazione. L’appuntato si è quindi ritrovato a esercitare un potere che non gli spettava. Dopo un sequestro di due buste di marijuana fatto insieme ai colleghi arrestati Falanga e Cappellano, si esprime così: “Una busta deve sparire… bel colpo!… le cose solo noi tre ce le dobbiamo fare!”. I magistrati si domandano quindi “come sia stato possibile che per anni nessuno si sia posto dei dubbi, ad esempio sul tenore di vita dell’appuntato Montella, palesemente superiore alle condizioni economiche di un appartenente alle forze dell’ordine del suo grado. Grave che per anni nessuno, per vicinanza o per grado gerarchico, abbia voluto controllare le fonti delle sue disponibilità economiche o le modalità con cui lo stesso conseguiva i cosidetti ‘risultati operativi'”.

La testimonianza del pusher e la scoperta delle microspie – I presunti arresti finalizzati allo spaccio sarebbero partiti “alla fine del 2016”, ha spiegato agli investigatori lo scorso gennaio il pusher marocchino considerato l’informatore di Montella sul giro di droga in città. “Principalmente parlavo con Montella, il quale mi diceva che comunque tutti gli altri carabinieri della stazione erano ‘sotto la sua cappella’, compreso il comandante Orlando“, si legge nelle carte dei pm. Il giovane sarebbe stato pagato dall’appuntato con parte degli stupefacenti sequestrati (o in denaro) in cambio delle “soffiate” per eseguire gli arresti. “La droga veniva conservata all’interno di un barattolo“, ha continuato a raccontare il pusher. “Montella me lo agitava davanti per farmi capire che era quasi vuoto e che c’era bisogno di altre informazioni per poterlo riempire”. “Non l’ho più visto da quando mi ha picchiato in caserma – racconta a verbale – mentre mi ha mandato un messaggio su Facebook dove mi diceva di smetterla di dire cose sul suo conto perché mi conveniva“. Il presunto strapotere di Montella non si sarebbe fermato nemmeno di fronte alla scoperta delle microspie piazzate nella sua auto dalla guardia di finanza. Il carabiniere è venuto a sapere della possibile esistenza di indagini a suo carico dopo aver portato il veicolo dal carrozziere. “Era bianco pallido, non respirava più” dice Simone Giardino alla fidanzata in un’intercettazione. La preoccupazione dell’appuntato, come sostengono i pm, non riguardava però il rischio di essere scoperto “ma il blocco dell’approvvigionamento di sostanza stupefacente” dai suoi fornitori “e, di conseguenza, i mancati introiti“.

Interrogatori per i carabinieri in carcere – Nel corso delle tre ore di interrogatorio, al termine delle quali i legali di Montella lo hanno definito “molto provato“, il carabiniere ha risposto a tutte le domande del gip e non è escluso che abbia fatto delle ammissioni. “C’è la volontà di spiegare e ci saranno ulteriori riscontri. È stato collaborativo al cento per cento nel rispetto della giustizia”, hanno dichiarato gli avvocati, invitando i cronisti ad essere più “più cauti e sobri” nei loro pezzi e ad evitare “i racconti alla Scarface”. Collaborativi con il giudice anche gli carabinieri in carcere, tra cui il 39enne Giuseppe Falanga: i suoi avvocati hanno smentito ogni accusa, sostenendo che il nigeriano ritratto con del sangue nella foto-simbolo dell’inchiesta sia “caduto da solo”. Si è avvalso della facoltà di non rispondere, invece, Salvatore Cappellano, considerato dal gip “l’elemento più violento della banda di criminali” e presunto autore delle botte e delle torture in via Caccialupo. L’obiettivo dei pm, ora, è quello di andare ancora più a fondo nel presunto traffico di stupefacenti messo in piedi dai militari e soprattutto di fare luce su eventuali ruoli e responsabilità della catena di comando dell’Arma, dopo che proprio ieri a Roma è stato deciso l’azzeramento dei vertici provinciali. Dovranno spiegarlo il comandante della stazione, il maresciallo Orlando, che sarà interrogato lunedì, e il comandante della compagnia Bezzeccheri. Ma davanti ai pm potrebbero arrivare anche l’ex comandante provinciale Piras, ora al ministero delle Infrastrutture, e il suo successore, il colonnello Savo. Proprio lui in una telefonata con Orlando sembra chiedere conto di quanto accadeva in caserma. “Quindi era costruita?”, chiede al maresciallo riferendosi a un’operazione avvenuta la sera prima. “No proprio costruita no”, è la risposta. “Ci stavamo lavorando”.

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Carabinieri arrestati a Piacenza, il procuratore militare De Paolis: “Basta encomi per chi fa più arresti. E chi denuncia illeciti va protetto”

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