“È questa la novità del dopo virus: rispondere insieme alla mancanza di pensiero”. Ne è convinto monsignor Lorenzo Leuzzi, vescovo di Teramo-Atri, che è anche medico. Il vero e proprio manifesto del presule per ripartire dopo la pandemia è contenuto in un’agile pubblicazione intitolata Il mondo soffre per mancanza di pensiero. Da Paolo VI a Francesco (Palumbi), impreziosita dalla prefazione del professore Eugenio Gaudio, rettore dell’Università di Roma La Sapienza.

In uno scenario molto incerto, anche all’interno della Chiesa italiana, su come ricominciare dopo il coronavirus, facendo tesoro dell’esperienza drammatica che si è vissuta, la proposta di monsignor Leuzzi è sicuramente inedita. Ma è anche una intelligente provocazione a non lasciarsi vincere dalla sfiducia e nemmeno dalle leggi dell’economia, senza così sfruttare quest’occasione per ripartire in modo decisamente nuovo e vincente.

Non è dunque un caso se questo invito arriva da un vescovo impegnato per molti anni nella pastorale universitaria di Roma, che ha avuto sempre a cuore il tema dell’educazione con particolare attenzione al mondo giovanile e alle dinamiche culturali che contraddistinguono il nostro tempo. Proposte in perfetta linea con quella pastorale in uscita chiesta ripetutamente da Papa Francesco alla Chiesa universale e in particolare a quella italiana nel memorabile discorso che tenne alla Cei, nel 2015, a Firenze.

“Il mondo non sarà più come prima! È lo slogan – scrive monsignor Leuzzi – che aleggia e va diffondendosi nell’opinione pubblica. Non c’è dubbio che dietro lo slogan si nasconda un profondo desiderio di migliorare la società contemporanea. Ma ciò non sarà automatico, se il mondo continuerà a soffrire per la mancanza di pensiero, come aveva profetizzato Paolo VI”.

Per il presule, “infatti, la distinzione non è tra il prima e il dopo virus, ma tra l’epoca del cambiamento e il cambiamento d’epoca. La pandemia, pur nella sua drammaticità, ha riproposto un problema già esistente e sempre più emergente: come costruire la nuova realtà sociale in modo da garantire a tutti la possibilità di vivere pienamente la propria esistenza storica? Se pensare di eliminare la malattia è una vera utopia, riportare indietro le lancette della storia significa prendere atto della più grande sconfitta dell’uomo contemporaneo. Questa è la grande sfida del dopo virus”.

La ricetta del presule è chiara: “Per vincere una tale sfida, è necessario ripartire dalla profezia di Paolo VI, cioè dalla sofferenza dell’uomo contemporaneo che è la mancanza di pensiero. Se la profezia era vera nel tempo del post-Concilio, lo è nella sua drammaticità ancor di più nel tempo del dopo virus. La Chiesa, anche a rischio di essere martirizzata dalle culture anti-realistiche contemporanee, non può restare impotente di fronte al grido di dolore dell’umanità che fa fatica ad accogliere l’invito della storia a superare se stessa verso traguardi nuovi e, forse, inattesi”.

Nel suo interessante saggio monsignor Leuzzi legge in perfetta continuità il magistero di San Paolo VI e quello di Francesco. Due Pontefici che hanno avuto come scopo principale della loro azione di governo la riforma della Curia romana e che proprio da essa hanno subìto gli attacchi peggiori.

Entrambi hanno condiviso anche l’azione missionaria di una Chiesa che, dopo la primavera del Concilio Ecumenico Vaticano II, non può più restare chiusa nelle sagrestie ammuffite, ma deve andare incontro all’uomo, a ogni uomo, ovunque egli si trovi, con una testimonianza coerente e perciò credibile.

“A molti è sfuggito – sottolinea monsignor Leuzzi – l’invito di Papa Francesco a rileggere la sua esortazione post sinodale Evangelii gaudium alla luce della esortazione Evangelii nuntiandi di Papa Paolo VI. Un semplice accostamento pastorale o il richiamo all’urgenza di non trasformare il cristianesimo in un messaggio religioso o sociale? Se il cristianesimo fosse solo un messaggio, allora la sua incidenza nella storia sarebbe praticamente nulla. È ciò che lentamente è accaduto nel post-Concilio. Se invece il cristianesimo è una realtà storica, allora la sua costruzione, poiché la realtà storica va costruita, pone le basi per costruire la società. È la conclusione del tempo della transizione”.

Per il presule “il cambiamento d’epoca non ha bisogno di messaggi religiosi o sociali, che saranno sempre in balìa delle prassi anti-realistiche, ma di una nuova capacità interpretativa della realtà storica diventata dinamica e non più statico-sacrale. Paradossalmente il tempo più consono al cristianesimo è il cambiamento d’epoca e non l’epoca del cambiamento. È la strada richiesta dal post-pandemia”.

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