Calcio

Milan-Atalanta: in questa bizzarra serie A è stata una piacevole recita

Vun a vun fa mal a nisciun…Uno a uno, Re Salomone in campo, le due migliori restano imbattute. L’è mej un usell in man che cent che vula. Saggezza popolare meneghina. Tradotto: meglio non farsi male e badare al sodo. Cioè non rischiare. Così, le due squadre più forti del girone post Covid si guatano, si pungono, si molestano. Ma non perdono. E non vincono.

I tifosi in virtuale connessione Sky si accontentano, anche se non godono, a differenza del detto che, come quasi tutti i detti, sono fatti per illudere i fessi. Il Milan di Pioli, sia pure decimato da squalifiche e infortuni (Romagnoli stagione finita, Conti di nuovo in infermeria, Bennacer ed Hernandez squalificati), tiene botta, tra batti e ribatti, senza battere l’Atalanta di Gasperini (relegato in tribuna per la lite con Mihajlovic, durante la partita col Bologna) che pure si è sbattuta…

Entrambe ci hanno provato, ma è sembrata accademia: per dare suspense allo spettacolo. In palio? Aumentare l’empatia. L’Atalanta sa che non può vincere lo scudetto, ormai pensa al torneo finale della Champions. Il Milan è già in Europa League, difficile che sorpassi la Roma, meglio essere pragmatici, evitare per esempio guai, come nuovi infortuni: la priorità, ormai, è il futuro.

Comunque, questo va detto, in campo lo smazzante Ibra è parso un croupier del pallone: li conquista a spallate, a colpi di testa che Ronaldo gli fa un baffo, li passa e distribuisce con astuzia, insomma esibisce il repertorio di un fuoriclasse, accompagnato da smorfie che dopo il calcio dovrebbe essere ingaggiato da Netflix.

E’ il maestro in campo che cerca di istruire i suoi allievi somarelli…come è ben consapevole il flemmatico Stefano Pioli, allure da principe della zolla del ducato di Parma, deve aver pensato che in mancanza de cavai, se fan trottà i asen, poiché a Milano quell che no se pò fa incoeu sel fa doman, quel che non si può fare oggi si fa domani. Come è noto, domani è infatti un altro giorno…

Pure l’inclita Atalanta, coi guerrieri Zapata, Muriel e Gomez, è andata gioiosamente all’assalto di Donnaruma, neocapitano dei rossoneri visto che Romagnoli è stato costretto ad abdicare. Il guardiano rossonero ha onorato la fascetta e riscattato certe passate titubanze, parando nel primo tempo persino un rigore stolidamente procurato dall’inetto Biglia – un paracarro, ma quando lo cacciano?

Sebbene potenzialmente in grado di travolgere un Milan rappezzato in difesa e centrocampo, la Dea non è stata ingorda come nella partita d’andata, quando aveva rifilato al Milan cinque pappine cinque. E non ha dominato l’incontro. Se è vero, come diciamo noi a Milano, che douve se caga se lassa el stronz, stavolta la banda bergamasca è rimasta stitica, ha scagazzato il minimo aziendale, per opera del rapace Zapata che ha pareggiato una meravigliosa punizione di Chalhanoglu. Il resto, esercitazioni.

Nel cosmo brulicante delle partite post pandemiche, in questa bizzarra e congestionata serie A in cui si dovrebbero rispettare distanziamenti e assembramenti ma nessuno lo fa (pensate alla caciara della Lazio, altro che resse della movida), Milan-Atalanta, clou della terzultima giornata, è stata una piacevole recita. In fondo, le due squadre si sono rispettate, consapevoli d’essere oggi come oggi le due star del torneo, quelle che esprimono un gioco vivace, coraggioso, moderno, irriverente. Imbattute prima. Ed imbattute sono rimaste dopo.

Per fortuna, tutto è andato in scena durante un’insolita fresca serata di luglio, poiché il buon Dio delle tempeste venerdì 24 ha scagliato su Milano tante bombe d’acqua d’allagare la città come fosse Venezia e raffreddarla come fosse Oslo.

Struggente resta il magnifico San Siro dedicato a Meazza che qualcuno vorrebbe tristemente abbattere per sostituirlo con un banale stadio multifunzionale. Un’opera d’arte anche adesso senza spettatori: gli spalti immensi e deserti, un’opera d’arte che enfatizza la grandezza del calcio, vuoto come un’astronave che viaggia nella solitudine celeste in cerca di pianeti da terraformare, e di campionati di calcio che siano come quelli di una volta, e non immagini remote, indistinte, sospese nella nostra memoria di tifosi offesi dalla pandemia. Perché la pisa senza pet l’è cumè un viulin senza l’archet. La pisciata senza un peto è come un violino senza l’archetto.