Come si valuta un buon sindaco, una città ben amministrata? Molti pensano alla città come “non dovrebbe essere”, altri alla città che vorrebbero. Ognuno vede città diverse, che spesso convivono nello stesso spazio senza incontrarsi, come nei film di fantascienza.
La prima è la città terra terra, quella dei rifiuti, delle buche, dei trasporti che non funzionano. Tanti giudicano l’Amministrazione in base alla qualità (o alle carenze) dei servizi. Aspetti che toccano direttamente il benessere delle persone, importanti anche per “l’immagine di sé” del cittadino, che, se si specchia in un luogo del vivere “non decoroso”, si sente svalutato quanto il quartiere e la città che lo circondano.
Eppure un’efficiente gestione della città dovrebbe essere il “minimo sindacale”: una organizzazione professionale, una pianificazione regolare e progressivi miglioramenti. Una “normalità” che molte città italiane ed europee vivono quotidianamente, ma che a Roma sembra irraggiungibile.
Poi c’è la “città celeste”, quella della “visione” lungimirante, dei valori che orientano e plasmano la città a cui si tende. L’obiettivo che dovrebbe guidare le scelte di chi governa, e anche l’impegno di chi è all’opposizione, ma che in realtà resta per lo più confinato negli slogan elettorali – pieni di “futuro”, “insieme”, “resiliente” , “smart city”- e, post elezioni, nei progetti lanciati nelle conferenze stampa e negli iperbolici resoconti di mediocri obiettivi raggiunti.
Ma la città celeste è anche quella delle proposte della società civile, degli intellettuali che scrivono libri pieni di idee interessanti e di quei cittadini che continuano ad avanzare richieste e progetti di buon senso all’Amministrazione. Proposte che spesso si scontrano con i reali poteri di manovra degli interlocutori, ma ancora più spesso con la loro scarsa volontà politica.
Ed è questa la dimensione della città reale, quella dove governa la realpolitik, la Roma dove è quotidianamente all’opera una moltitudine di portatori di interessi: lobbies, gruppi, categorie, potentati tradizionali e gestori di consensi elettorali, e, naturalmente, tante realtà civiche e solidali. E’ il “fuori scena” della città “terra terra”, ma anche delle narrazioni partorite dagli uffici comunicazione e delle caparbie speranze dei cittadini.
La città reale è l’arena dove le sorti della città si giocano sugli esiti di un continuo conflitto.
Perché la città è prima di tutto conflitto: anche i politici e gli amministratori armati delle migliori intenzioni devono confrontarsi con la situazione ereditata, con i limiti economici e normativi, con le forze economiche in campo – le mille componenti sociali e produttive che legittimamente perseguono i propri scopi e profitti -, con una classe politica sempre più frammentata e priva d’identità, con le istanze dei cittadini. Ma una buona Amministrazione dovrebbe saper governare il conflitto e orientarlo verso la sua visione di città.
La “città politica”, a Roma, da decenni ha per lo più abbandonato qualunque orizzonte ideale per concentrarsi su una navigazione a vista che troppo spesso ha più a che fare con il mantenimento del consenso che con la vita dei cittadini. Una linea che si risolve fondamentalmente nel cercare di schivare gli attacchi che arrivano dai problemi terra terra e lanciare spot sul radioso futuro che si vorrebbe costruire.
Come si valuta un buon sindaco, una città ben amministrata? Alla fine, quello che ciascuno di noi vede, quando formula un giudizio su un Sindaco e un’Amministrazione in carica, dipende dal suo sguardo: il suo vissuto, gli aspetti a cui dà maggiormente importanza, i canali di informazione che sceglie come “attendibili”.
Quello che è l’Amministrazione “oggettivamente” si potrebbe ricavare dall’analisi delle decisioni che risultano o non risultano agli atti: le delibere approvate, le regole modificate, i finanziamenti erogati, i progetti accantonati, anche le gare bloccate. Purtroppo la città reale è anche una città per lo più invisibile, perché pochi hanno la possibilità – o la voglia – di valutare i fatti e gli atti, andando oltre i cassonetti debordanti o gli slogan sulla rigenerazione urbana (ma questo è un altro post).
Non si restituisce la speranza e la dignità a Roma solo risolvendo il problema della monnezza o delle buche, né bastano i convegni sulla resilienza, mentre continuano ad esserci quartieri da anni senza fognature. Occorre abbracciare tutte le dimensioni, guardando alla città che vorremmo lasciare ai nostri figli, e a quella del presente, dove il degrado dello spazio pubblico e la mancanza di servizi sono la faccia esterna delle disuguaglianze e della frammentazione sociale.
Ma le visioni, i programmi, le proposte non servono a niente se non vengono ricostruiti contemporaneamente un habitat politico accettabile e una cittadinanza più consapevole. Il problema non sono le idee. Il problema è trovare qualcuno che voglia metterle in pratica. E tanti che vogliano diventare protagonisti di una città migliore.