Si è trasformato in un caso diplomatico il viaggio in Libia del filosofo e giornalista francese, Bernard-Henri Lévy, che sabato è atterrato con un jet privato all’aeroporto di Misurata e con un convoglio armato si è diretto verso la località di Tarhuna, a sud-est della capitale Tripoli, per un reportage sulle fosse comuni scoperte nelle scorse settimane e dalle quali sono stati estratti 237 che si ritiene siano di militari fedeli al generale Khalifa Haftar. Una visita che, scrive il Libyan Observer, non aveva ricevuto l’approvazione del Governo di Accordo Nazionale tripolino che controlla l’area, tanto che un gruppo di miliziani che fanno capo proprio all’esecutivo di Fayez al-Sarraj hanno attaccato con colpi d’arma da fuoco le auto che trasportavano lo scrittore francese per impedirgli l’accesso a Tarhuna.
I media locali scrivono che Lévy non aveva un invito ufficiale del governo di Tripoli ed è stato accolto in modo ostile anche dal sindaco di Misurata che non lo ha voluto ricevere. L’unico ok ricevuto è stato quello “dell’ufficio del ministro dell’Interno Fathi Bashagha“. Non sufficiente, evidentemente, a garantire il via libera sicuro verso il luogo di sepoltura dei miliziani fedeli al nemico di Tripoli, il generale Haftar, tanto che a sparare contro le auto del convoglio è stata, riporta l’emittente Libya al-Ahrar, “una forza congiunta del Gna, spingendolo fuori dai confini amministrativi di Tarhuna”.
Citando una “fonte del governo”, l’emittente in un tweet sostiene però che Lévy “ha presentato una richiesta ufficiale di poter visitare la Libia” e “coprire le fosse comuni” di Haftar “a vantaggio di media stranieri come il Wall Street Journal“. Il presidente dell’Alto consiglio di Stato, Khalid Al-Mishri, si è però detto “sorpreso che al filosofo sia stato consentito di entrare nella città, visto il sostegno della Francia al signore della guerra” Haftar.
Ma domenica anche il ministro dell’Interno Bashagha ha smentito l’indiscrezione di un suo invito rivolto al filosofo francese: “Il Governo di Accordo Nazionale non ha invitato ufficialmente alcun giornalista a visitare la Libia. Alcune parti hanno l’abitudine di pescare in acque torbide per servire fini politici conosciuti“, ha scritto su Twitter. Il Consiglio della stampa del governo di Tripoli ha emesso un comunicato precisando che “il Consiglio presidenziale non ha alcuna relazione né ha avuto alcuna conoscenza di detta visita che non è stata coordinata dunque con il Consiglio che – hanno aggiunto – ha adottato misure per far luce sulla visita di Lévy e conoscere verità e dettagli della stessa e saranno prese misure legali dissuasive nei confronti di tutte le persone implicate in questi atti, considerati come un’infrazione alla legittimità e alle leggi dello Stato“.
Nelle immagini circolate su Twitter, anche sul profilo di Lévy, è ripreso il momento del presunto assalto. Oded Berkowitz, analista di intelligence, ha scritto che il filosofo “è stato bloccato da milizie locali nel tentativo di visitare Tarhuna”, mentre un miliziano, riferisce invece l’analista Wolfram Lacher del think-tank Swp di Berlino, si è riferito a lui definendolo un “cane ebreo”.
#Libya– video of Bernard-Henri Levy’s (referred to here as “Jewish dog”) convoy blocked from entering Tarhunah pic.twitter.com/GH7iHh4qJV
— Oded Berkowitz (@Oded121351) July 25, 2020
Ma su Twitter Lévy ha pubblicato una foto in cui, circondato da uomini in divisa, afferma di essere riuscito a raggiungere la località a 65 chilometri a sud est di Tripoli. “Tarhuna, dopo il mio reportage sui campi della morte – ha scritto – Questi sono veri poliziotti libici che proteggono la libertà di stampa. Così differenti dai banditi che hanno cercato di bloccare il mio convoglio tornando a Misurata. Il reportage completo sarà pubblicato presto”.
#Tarhuna. Just after my reportage on the killing fields. These are the true Libyan police who protect free press. So different from the thugs who tried to block my convoy on my way back to #Misrata. The full reportage will be published soon. pic.twitter.com/JYW1Aa5Y2V
— Bernard-Henri Lévy (@BHL) July 25, 2020
Il ruolo svolto da Lévy nella crisi libica iniziata con l’offensiva Nato del 2011 che porterà alla caduta dell’ex Raìs Muʿammar Gheddafi è stato oggetto di dure critiche. Il filosofo, allora, si propose come mediatore tra le potenze dell’Alleanza Atlantica, Francia e Stati Uniti in testa, e i capi ribelli anti-Gheddafi del National Transitional Council. Un’operazione ‘diplomatica’ che da alcuni viene considerata la miccia che ha portato al caos libico che dura ormai da quasi dieci anni.