Il 7 giugno non sapeva nulla dei camici della società di suo cognato destinati alla Lombardia. Il 26 luglio, invece, sostiene di aver voluto partecipare pure lui alla donazione per la Regione. Che – per inciso – lo ha eletto governatore. Eppure nemmeno Attilio Fontana sembra avere le idee chiare sulla vicenda del materiale medico che il Pirellone avrebbe dovuto acquistare dall’azienda del fratello di sua moglie. O almeno così pare dalle diverse versioni rese a partire dal 7 giugno scorso, cioè quando Il Fatto Quotidiano ha anticipato i contenuti dell’inchiesta televisiva di Report che ha scoperchiato l’affare. In un’intervista rilasciata oggi alla Stampa, il governatore dà la sua (ultima) ricostruzione dei fatti: “Quando è saltata fuori questa storia e ho visto che mio cognato faceva questa donazione, ho voluto partecipare anch’io. Fare anch’io una donazione. Mi sembrava il dovere di ogni lombardo”.
Ricapitolando: Fontana era a conoscenza del fatto che nei mesi scorsi la Dama spa – società gestita dal cognato Andrea Dini e di cui la moglie detiene il 10 per cento delle quote – voleva “donare” camici e altro materiale medico alla Lombardia per un valore di 513mila euro. E per questo decise di “partecipare” al gesto di solidarietà. Come? Attraverso un bonifico da 250mila euro destinato all’azienda del parente e partito direttamente dai suoi conti svizzeri. In pancia fino al 2015 c’erano oltre 5 milioni di euro gestiti da due trust alle Bahamas su indicazione della madre – poi scudati grazie alla voluntary disclosure – e su cui ora si concentrano le attenzioni dei magistrati. Il contestato bonifico, stando al Corriere della Sera, è datato 19 maggio, cioè quattro giorni dopo un’intervista rilasciata dallo stesso Fontana ai giornalisti di Report. Ma si è fermato a causa di un alert segreto che la milanese Unione Fiduciaria ha mandato a Bankitalia in base alle normative antiriciclaggio. Nel giro di poche settimane i finanzieri acquisiscono gli atti e l’11 giugno, riferisce sempre il Corriere, Fontana chiede alla fiduciaria di non effettuare più la transazione richiesta con “urgenza”. Nel frattempo i pm di Milano aprono un fascicolo. “Non c’è niente di illecito in quel conto”, chiarisce ora il governatore, “sono capitali denunciati e scudati, un’eredità di mia madre. Non vedo di cosa dovrei vergognarmi”. “Che vadano a vedere tutto quello che vogliono. Noi siamo tranquilli. È una eredità, scudata, regolarizzata, tracciabile e assolutamente ufficiale”, aggiunge poi il suo legale Jacopo Pensa, annunciando di voler incontrare al più presto i magistrati per discutere di questi temi.
Sta di fatto che, da quando il caso dei camici è diventato di dominio pubblico, il governatore ha cambiato linea più volte. Il 7 giugno, di fronte all’articolo pubblicato sul Fatto, dichiarò la sua “totale estraneità alla vicenda“, annunciando querele nei confronti del giornale e diffidando la trasmissione di Rai3 dal mandare in onda il servizio integrale. “Si tratta dell’ennesimo attacco politico vergognoso, basato su fatti volutamente artefatti e scientemente omissivi per raccontare una realtà che semplicemente non esiste”, aggiunse Fontana. “Non sapevo nulla della procedura attivata da Aria Spa (la Centrale acquisti della Regione, ndr) e non sono mai intervenuto in alcun modo”. Poche ore dopo, dalla sua pagina Facebook, il presidente aggiunse nuovi dettagli sulla presunta “donazione” di camici fatta da Dini: “Nell’automatismo della burocrazia, nel rispetto delle norme fiscali e tributarie, l’azienda oggetto del servizio di Report, accompagnava il materiale erogato attraverso regolare fattura stante alla base la volontà di donare il materiale alla Lombardia, tanto che prima del pagamento della fattura, è stata emessa nota di credito bloccando di fatto qualunque incasso”. In base alle ricostruzioni giornalistiche, invece, le fatture sarebbero state stornate e l’acquisto trasformato in una donazione il 20 maggio, cioè solo dopo l’interessamento di Report alla vicenda. Dini finora ha sempre negato, affermando che il suo intento era sin dall’inizio a scopi benefici. Come riportato dal Fatto Quotidiano, però, lo stesso manager avrebbe firmato di suo pugno un’email in cui si parlava esplicitamente di “prezzi e forniture”. Documento poi recuperato dagli investigatori del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza nel corso delle acquisizioni fatte in Regione.
Ma c’è di più. Perché ieri – dopo l’iscrizione di Fontana nel registro degli indagati – a dare una versione ancora diversa è stato il suo avvocato Pensa: “Quando è venuto a sapere della fornitura, per evitare equivoci” ha detto al cognato “di trasformarla in donazione e lo scrupolo di averlo danneggiato lo ha indotto in coscienza a fare un gesto risarcitorio“. Il riferimento è proprio al bonifico da 250mila euro destinato a Dini e bloccato dall’antiriciclaggio. “Questo risarcimento”, ha continuato il legale, “è rimasto lettera morta. Non sono in grado di capire dove sia il reato” contestato a Fontana (frode in pubbliche forniture), “ma i pm sanno quello che devono fare ed evidentemente sono state fatte indagini che hanno implicato l’iscrizione a garanzia dell’indagato”. Parole con cui il governatore evidentemente non è d’accordo, dal momento che nel giro di 24 ore definisce quel bonifico non un “risarcimento”, ma la sua quota nella donazione organizzata dal cognato. E al giornalista della Stampa che gli fa notare le incongruenze, iniziate il 7 giugno con la sua presunta “estraneità ai fatti”, lui ribatte così: “Ma è vero, io della fornitura non sapevo niente. L’ho saputo solo quando mio cognato ha deciso di fare la donazione”.
Politica
Fontana, tutte le versioni sui camici: da “non sapevo nulla” al bonifico per il cognato. E ora dice: “Volevo partecipare alla donazione”
In un'intervista alla Stampa il governatore sostiene di essersi accodato al gesto benefico del cognato, disponendo un bonifico da 250mila euro poi bloccato dall'antiriciclaggio. Una versione diversa da quella fornita ieri dal suo legale, secondo cui la transazione sarebbe stata un "risarcimento". Il 7 giugno, invece, il leghista si diceva del tutto "estraneo" ai fatti
Il 7 giugno non sapeva nulla dei camici della società di suo cognato destinati alla Lombardia. Il 26 luglio, invece, sostiene di aver voluto partecipare pure lui alla donazione per la Regione. Che – per inciso – lo ha eletto governatore. Eppure nemmeno Attilio Fontana sembra avere le idee chiare sulla vicenda del materiale medico che il Pirellone avrebbe dovuto acquistare dall’azienda del fratello di sua moglie. O almeno così pare dalle diverse versioni rese a partire dal 7 giugno scorso, cioè quando Il Fatto Quotidiano ha anticipato i contenuti dell’inchiesta televisiva di Report che ha scoperchiato l’affare. In un’intervista rilasciata oggi alla Stampa, il governatore dà la sua (ultima) ricostruzione dei fatti: “Quando è saltata fuori questa storia e ho visto che mio cognato faceva questa donazione, ho voluto partecipare anch’io. Fare anch’io una donazione. Mi sembrava il dovere di ogni lombardo”.
Ricapitolando: Fontana era a conoscenza del fatto che nei mesi scorsi la Dama spa – società gestita dal cognato Andrea Dini e di cui la moglie detiene il 10 per cento delle quote – voleva “donare” camici e altro materiale medico alla Lombardia per un valore di 513mila euro. E per questo decise di “partecipare” al gesto di solidarietà. Come? Attraverso un bonifico da 250mila euro destinato all’azienda del parente e partito direttamente dai suoi conti svizzeri. In pancia fino al 2015 c’erano oltre 5 milioni di euro gestiti da due trust alle Bahamas su indicazione della madre – poi scudati grazie alla voluntary disclosure – e su cui ora si concentrano le attenzioni dei magistrati. Il contestato bonifico, stando al Corriere della Sera, è datato 19 maggio, cioè quattro giorni dopo un’intervista rilasciata dallo stesso Fontana ai giornalisti di Report. Ma si è fermato a causa di un alert segreto che la milanese Unione Fiduciaria ha mandato a Bankitalia in base alle normative antiriciclaggio. Nel giro di poche settimane i finanzieri acquisiscono gli atti e l’11 giugno, riferisce sempre il Corriere, Fontana chiede alla fiduciaria di non effettuare più la transazione richiesta con “urgenza”. Nel frattempo i pm di Milano aprono un fascicolo. “Non c’è niente di illecito in quel conto”, chiarisce ora il governatore, “sono capitali denunciati e scudati, un’eredità di mia madre. Non vedo di cosa dovrei vergognarmi”. “Che vadano a vedere tutto quello che vogliono. Noi siamo tranquilli. È una eredità, scudata, regolarizzata, tracciabile e assolutamente ufficiale”, aggiunge poi il suo legale Jacopo Pensa, annunciando di voler incontrare al più presto i magistrati per discutere di questi temi.
Sta di fatto che, da quando il caso dei camici è diventato di dominio pubblico, il governatore ha cambiato linea più volte. Il 7 giugno, di fronte all’articolo pubblicato sul Fatto, dichiarò la sua “totale estraneità alla vicenda“, annunciando querele nei confronti del giornale e diffidando la trasmissione di Rai3 dal mandare in onda il servizio integrale. “Si tratta dell’ennesimo attacco politico vergognoso, basato su fatti volutamente artefatti e scientemente omissivi per raccontare una realtà che semplicemente non esiste”, aggiunse Fontana. “Non sapevo nulla della procedura attivata da Aria Spa (la Centrale acquisti della Regione, ndr) e non sono mai intervenuto in alcun modo”. Poche ore dopo, dalla sua pagina Facebook, il presidente aggiunse nuovi dettagli sulla presunta “donazione” di camici fatta da Dini: “Nell’automatismo della burocrazia, nel rispetto delle norme fiscali e tributarie, l’azienda oggetto del servizio di Report, accompagnava il materiale erogato attraverso regolare fattura stante alla base la volontà di donare il materiale alla Lombardia, tanto che prima del pagamento della fattura, è stata emessa nota di credito bloccando di fatto qualunque incasso”. In base alle ricostruzioni giornalistiche, invece, le fatture sarebbero state stornate e l’acquisto trasformato in una donazione il 20 maggio, cioè solo dopo l’interessamento di Report alla vicenda. Dini finora ha sempre negato, affermando che il suo intento era sin dall’inizio a scopi benefici. Come riportato dal Fatto Quotidiano, però, lo stesso manager avrebbe firmato di suo pugno un’email in cui si parlava esplicitamente di “prezzi e forniture”. Documento poi recuperato dagli investigatori del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza nel corso delle acquisizioni fatte in Regione.
Ma c’è di più. Perché ieri – dopo l’iscrizione di Fontana nel registro degli indagati – a dare una versione ancora diversa è stato il suo avvocato Pensa: “Quando è venuto a sapere della fornitura, per evitare equivoci” ha detto al cognato “di trasformarla in donazione e lo scrupolo di averlo danneggiato lo ha indotto in coscienza a fare un gesto risarcitorio“. Il riferimento è proprio al bonifico da 250mila euro destinato a Dini e bloccato dall’antiriciclaggio. “Questo risarcimento”, ha continuato il legale, “è rimasto lettera morta. Non sono in grado di capire dove sia il reato” contestato a Fontana (frode in pubbliche forniture), “ma i pm sanno quello che devono fare ed evidentemente sono state fatte indagini che hanno implicato l’iscrizione a garanzia dell’indagato”. Parole con cui il governatore evidentemente non è d’accordo, dal momento che nel giro di 24 ore definisce quel bonifico non un “risarcimento”, ma la sua quota nella donazione organizzata dal cognato. E al giornalista della Stampa che gli fa notare le incongruenze, iniziate il 7 giugno con la sua presunta “estraneità ai fatti”, lui ribatte così: “Ma è vero, io della fornitura non sapevo niente. L’ho saputo solo quando mio cognato ha deciso di fare la donazione”.
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Roma, 7 mar. (Adnkronos) - Esperti e stakeholder del settore energetico si sono riuniti ieri mattina a Key, in occasione del convegno 'Accelerating Sustainable Electrification: Key to Economic and Social Development on the African Continent' curato da Res4Africa Foundation, per parlare del ruolo fondamentale dell'elettrificazione nella trasformazione socioeconomica dell'Africa. Con una popolazione prevista di 2,5 miliardi entro il 2050, il continente deve prepararsi per affrontare una crescente domanda di energia, che richiede soluzioni urgenti e sostenibili.
La conferenza, organizzata in due panel, ha evidenziato la necessità di uno sviluppo di energia rinnovabile su larga scala, di modernizzazione delle reti elettriche e di investimenti in soluzioni per l’accumulo di energia, in modo da garantire l'accesso universale a un'elettricità affidabile, sicura e conveniente.
Oltre alle discussioni, le delegazioni africane presenti hanno avuto l'opportunità di esplorare le soluzioni innovative presenti a Key, rafforzando ulteriormente le collaborazioni pubblico-private volte all'elettrificazione sostenibile.
“I porti e le infrastrutture costiere rivestono un ruolo fondamentale per lo sviluppo dei progetti di energia rinnovabile offshore, poiché rappresentano il punto di partenza e di supporto logistico per la costruzione, l'installazione e la manutenzione degli impianti”. È quanto ha dichiarato ieri mattina Fulvio Mamone Capria, presidente di Aero, Associazione delle Energie Rinnovabili Offshore, al termine del convegno 'Portualità, logistica, trasporti e filiera industriale per l’eolico offshore in Italia'.
I porti sono destinati a diventare sempre di più hub dell’energia, capaci di garantire l'efficienza e la sostenibilità delle operazioni, ma anche di favorire l'innovazione tecnologica e il coordinamento delle attività tra i diversi attori del settore. “L'adeguamento e il potenziamento delle infrastrutture portuali sono determinanti per ridurre i costi e migliorare la competitività delle energie rinnovabili marine, rendendo i progetti più scalabili e accessibili”, ha continuato Mamone.
Il decreto ministeriale sui porti permetterà di semplificare gli investimenti e incentivare la creazione di un'infrastruttura solida e ben collegata.
Roma, 7 mar. (Adnkronos) - Esperti e stakeholder del settore energetico si sono riuniti ieri mattina a Key, in occasione del convegno 'Accelerating Sustainable Electrification: Key to Economic and Social Development on the African Continent' curato da Res4Africa Foundation, per parlare del ruolo fondamentale dell'elettrificazione nella trasformazione socioeconomica dell'Africa. Con una popolazione prevista di 2,5 miliardi entro il 2050, il continente deve prepararsi per affrontare una crescente domanda di energia, che richiede soluzioni urgenti e sostenibili.
La conferenza, organizzata in due panel, ha evidenziato la necessità di uno sviluppo di energia rinnovabile su larga scala, di modernizzazione delle reti elettriche e di investimenti in soluzioni per l’accumulo di energia, in modo da garantire l'accesso universale a un'elettricità affidabile, sicura e conveniente.
Oltre alle discussioni, le delegazioni africane presenti hanno avuto l'opportunità di esplorare le soluzioni innovative presenti a Key, rafforzando ulteriormente le collaborazioni pubblico-private volte all'elettrificazione sostenibile.
“I porti e le infrastrutture costiere rivestono un ruolo fondamentale per lo sviluppo dei progetti di energia rinnovabile offshore, poiché rappresentano il punto di partenza e di supporto logistico per la costruzione, l'installazione e la manutenzione degli impianti”. È quanto ha dichiarato ieri mattina Fulvio Mamone Capria, presidente di Aero, Associazione delle Energie Rinnovabili Offshore, al termine del convegno 'Portualità, logistica, trasporti e filiera industriale per l’eolico offshore in Italia'.
I porti sono destinati a diventare sempre di più hub dell’energia, capaci di garantire l'efficienza e la sostenibilità delle operazioni, ma anche di favorire l'innovazione tecnologica e il coordinamento delle attività tra i diversi attori del settore. “L'adeguamento e il potenziamento delle infrastrutture portuali sono determinanti per ridurre i costi e migliorare la competitività delle energie rinnovabili marine, rendendo i progetti più scalabili e accessibili”, ha continuato Mamone.
Il decreto ministeriale sui porti permetterà di semplificare gli investimenti e incentivare la creazione di un'infrastruttura solida e ben collegata.
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.