Campioni d’Italia. Ancora una volta, la nona di fila. Il secondo “match point” dopo il flop di Udine è quello buono: grazie al successo contro la Sampdoria la Juventus conquista con due giornate d’anticipo il suo ennesimo scudetto che allunga l’era del dominio bianconero sulla Serie A. Anche se stavolta è solo uno “scudetto di cartone”.
Non se la prendano i tifosi juventini, che quell’espressione l’hanno coniata come consolazione di Calciopoli. Lo scudetto del Covid non può essere considerato troppo diversamente, dopo una pandemia mondiale, una stagione interrotta a marzo e ripresa a giugno in condizioni completamente alterate. Ma non è certo un demerito o disonore per la Juve, che durante e dopo il lockdown si è comportata in modo coerente e signorile: il titolo non lo avrebbe accettato a tavolino, se l’è preso meritatamente sul campo e lo festeggerà il giusto. Lo avrebbe fatto poco in condizioni normali, con la testa all’Europa e la pancia piena di scudetti, figuriamoci ora.
Lo “scudetto di cartone” è solo il reale valore di questo campionato, ripreso e concluso ad ogni costo nel disinteresse generale, sicuramente degli spettatori (gli ascolti come ha rivelato il Fatto sono crollati), a volte, è sembrato, degli stessi protagonisti. E se non esalta i bianconeri, di sicuro brucia ai suoi rivali, che l’avrebbero festeggiato eccome. E invece ancora una volta sono solo spettatori delle celebrazioni altrui: brucia all’Inter di Antonio Conte, che non si è mai rivelata all’altezza, brucia alla Lazio di Claudio Lotito che ha fatto fuoco e fiamme per tornare a giocare e poi si è persa sul più bello.
La Juventus infatti ha vinto semplicemente perché era la squadra più forte. In questo non è cambiato nulla dal passato. Rispetto agli scorsi anni, però, stavolta la superiorità bianconera è stata soprattutto inferiorità degli avversari. Colpa di una rivoluzione evidentemente ancora incompiuta. Al suo primo anno a Torino, Maurizio Sarri ha vinto ma non ha convinto. La sua squadra è apparsa costantemente più fragile della corazzata di Allegri. Ma non è mai stata più bella, vero motivo per cui era stato scelto da Agnelli. Anzi, il gioco ha a lungo latitato. La costante, il filo conduttore fra le due formazioni, è stata la capacità di affrontare le partite decisive, essenzialmente le due sfide con l’Inter, veri snodi della stagione. In questo la Juve, di Sarri o di Allegri, è sempre la stessa, è sempre la Juve.
Perché la trasformazione si completi molto dipenderà dal mercato. Se il giudizio sull’allenatore è in sospeso, quello sulla dirigenza invece non può che essere negativo. La Juventus ha vinto ancora ma non certo per merito di chi l’ha costruita. L’estate scorsa Paratici aveva provato in tutti i modi a vendere di Dybala, che poi si è rivelato l’uomo in più della stagione: fortuna sua (e della Juve) che non ci sia riuscito. In più, la rosa presentava, e presenterà a maggior ragione in futuro, lacune evidenti: sulle fasce difensive, in mezzo al campo, soprattutto nel ruolo di centravanti dove è stato rispolverato Higuain con risultati deludenti. La squadra ha stentato anche perché, pur essendo nettamente più forte delle altre, forse lo era meno che in passato. Il calciomercato 2020, così breve e atipico, sarà decisivo per il progetto di Sarri e non solo, sarà decisivo per tutta la Juve.
Il bilancio in realtà non è ancora completo: mancherebbe la Champions League, vero obiettivo stagionale, che di solito sposta tutti gli equilibri, trasforma con una sola partita un fallimento in un trionfo (e viceversa). Ma stavolta, con la nuova formula bislacca e snaturata dal coronavirus, pure la Champions in fondo sarà una “coppa di cartone”. Vincerla o non vincerla non potrà fare davvero la differenza. Al contrario dello scudetto, che Covid o non Covid, proprio non si poteva perdere. È un titolo che conta soprattutto per il futuro. E poi in bacheca ci sta sempre bene.