Sorella maggiore di Joan Fontaine, aveva 104 anni e viveva da quasi sessant'anni a Parigi. Conquistò la statuetta per "A ciascuno il suo destino" e "L'ereditiera"
È morta alla veneranda età di 104 anni Olivia De Havilland, l’attrice immortalata nell’immaginario comune per il ruolo di di Melanie Hamilton Wilkes in Via col vento. Secondo quanto è stato reso noto, l’attrice si è morta oggi nella sua abitazione a Parigi, dove si era trasferita all’inizio degli anni Cinquanta dopo aver abbandonato Hollywood. De Havilland aveva ricevuto premi e riconoscimenti negli Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Vinse due Oscar, su cinque nomination, come attrice protagonista nel 1946 per il film A ciascuno il suo destino e nel 1949 per L’ereditiera, e nel 1986 vinse il Golden Globe per il suo ruolo nel film Anastasia, l’ultima dei Romanov. Olivia De Havilland era la sorella maggiore di Joan Fontaine, anche lei premio Oscar ne Il sospetto di Hitchcock.
Cittadina inglese, naturalizzata statunitense nel 1941, era nata il 1° luglio 1916 a Tokyo da Walter Augustus de Havilland, avvocato inglese con studio nella capitale giapponese, specializzato in materia di brevetti, e Lilian Augusta Ruse, attrice nota con il nome d’arte di Lilian Fontaine. Poco dopo la nascita della sorella minore Joan, più piccola di 13 mesi, i loro genitori divorziarono quando Olivia Mary aveva tre anni e con la madre lasciò Tokyo per Los Angeles. Iscrittasi al Mills College di Oakland, ebbe modo di esibirsi come attrice partecipando all’allestimento scolastico della commedia Sogno di una notte di mezz’estate di William Shakespeare e facendosi notare dal regista Max Reinhardt che nel 1934 la scelse per la sua versione dello spettacolo e l’anno successivo per la celebre, innovativa e visionaria trasposizione cinematografica da lui diretta con William Dieterle. Fu per questa interpretazione che la Warner Bros offrì a Olivia un contratto di sette anni. Ebbe così modo di interpretare Alibi Ike (1935) di Ray Enright, Colpo proibito (1935) di Lloyd Bacon e soprattutto Capitan Blood (1935), con il quale iniziò il felice sodalizio artistico con il regista Michael Curtiz e l’attore Errol Flynn, che proseguì con La carica dei 600 (1936), La leggenda di Robin Hood (1938) codiretto da William Keighley, La quadriglia dell’illusione (1938), Gli avventurieri (1939), Il conte di Essex (1939) e I pascoli dell’odio (1940).
Diretta da Curtiz, la giovane attrice diede vita a un personaggio la cui delicata presenza poteva a tratti passare inosservata, proprio perché funzionale alla progressione avventurosa del racconto, caratterizzato da un afflato eroico ed edificante in chiave virile, romantica e patriottica. Sempre in coppia con Errol Flynn, ma con la regia di Raoul Walsh, in La storia del generale Custer (1942) Olivia de Havilland definì meglio l’edulcorata tipologia di sposa ideale, pronta per amore a sacrificarsi, essendosi nel frattempo temprata grazie all’interpretazione dell’impeccabile e virtuosa eroina sudista Melania in Via col vento (1939) di Victor Fleming, per la quale le venne attribuita la sua prima nomination come migliore attrice non protagonista. L’attrice, nel 1942, venne di nuovo candidata all’Oscar, stavolta come protagonista, per La porta d’oro di Mitchell Leisen, premio che andò alla sorella Joan Fontaine, per Il sospetto di Alfred Hitchcock, con Cary Grant.
Nel 1947, grazie al suo ruolo nel film A ciascuno il suo destino (1946) di Mitchell Leisen, vinse l’Oscar come miglior attrice protagonista. Nello stesso anno ricoprì un duplice ruolo nel noir Lo specchio scuro di Robert Siodmak: il film permise all’attrice di scindersi in modo radicale, rendendo oltremodo riconoscibili e polarizzate le due gemelle interpretate, ciascuna corrispondente agli opposti aspetti di una personalità schizofrenica: la prima, Ruth, con gli occhi sempre bassi, la voce morbidamente querula e i lineamenti mobili da vittima affranta, sintesi della personalità cinematografica delineata in precedenza dalla de Havilland; la seconda, Terry, con il tono deciso e stentoreo della voce, il volto e il corpo rigidi, riflesso di un’immobilità sprezzante, prefigurante invece i futuri personaggi. Dopo la straordinaria interpretazione, ancora in un ruolo di donna malata di amnesia depressiva, nel crudo dramma La fossa dei serpenti (1948) di Anatole Litvak, arrivò anche il secondo premio Oscar con il film L’ereditiera (1949) di William Wyler in cui l’attrice interpreta di nuovo una donna illusa, corteggiata soltanto per bieco interesse. Da allora de Havilland diradò le apparizioni sullo schermo, trasferendosi a Parigi nel 1955 e sposando il giornalista e scrittore francese Pierre Galante, da cui divorziò nel 1979 (dal 1946 al ’53 fu sposata con lo scrittore e attore statunitense Marcus Goodrich).
Tra le interpretazioni successive sono da ricordare: Mia cugina Rachele (1952) di Henry Koster, il superlativo e autoironico Un giorno di terrore (1964) di Walter Grauman e, al fianco di Bette Davis, il morboso Piano… piano, dolce Carlotta (1964) di Robert Aldrich. Tra le ultime apparizioni sul grande schermo Airport ’77 (1977) e Swarm (1978). Nel 1962 pubblicò l’autobiografia Every Frenchman has one (Random House), resoconto spensierato dei tentativi spesso divertenti della diva di comprendere e adattarsi alla vita, alle buone maniere e ai costumi francesi. Nel 2017, per il suo 101º compleanno, la regina Elisabetta le conferì l’onorificenza di Dama dell’Impero Britannico.
Oltre che per la recitazione, De Havilland era nota per il suo carattere: nel 1943 fece causa a Warner Bros quando lo studio cinematografico provò a mantenerla sotto contratto nonostante fosse scaduto, sostenendo che potesse essere esteso di altri sei mesi perché l’attrice aveva rifiutato alcuni ruoli ritenendoli non adatti a lei; e nel 1945 le Corti d’appello della California stabilirono che nessuno studio poteva estendere un accordo senza il consenso dell’artista, una decisione che fu soprannominata ‘la legge De Havilland’.