Assolti perché il fatto non sussiste. Per i giudici della Corte di assise di Massa Mina Welby e Marco Cappato non sono responsabili per la morte di Davide Trentini che fu accompagnato in Svizzera perché decise di mettere fine alla sua vita. La procura aveva chiesto 3 anni e 4 mesi. “Chiedo la condanna ma con tutte le attenuanti generiche e ai minimi di legge. Il reato di aiuto al suicidio sussiste, ma credo ai loro nobili intenti. È stato compiuto un atto nell’interesse di Davide Trentini, a cui mancano i presupposti che lo rendano lecito. Colpevoli sì – aveva detto il pm di Massa Marco Mansi – ma meritevoli di alcune attenuanti che in coscienza non mi sento di negare”. Trentini, 53 anni, malato di sclerosi multipla, è morto il 13 aprile 2017 in Svizzera col suicidio assistito. Cappato, tesoriere e copresidente dell’associazione Coscioni, sostenne economicamente attraverso l’associazione Soccorso civile Trentini nella sua decisione, Welby lo accompagnò. Il giorno dopo entrambi si presentarono ai carabinieri di Massa per autodenunciarsi. “Il pubblico ministero ha appena chiesto la condanna a 3 anni e 4 mesi di carcere per Mina Welby e per me. Attendiamo la sentenza con rispetto, qualunque sia l’esito – aveva scritto su Twitter Cappato – Ma rifarei esattamente quello che ho fatto per aiutare Davide a morire senza soffrire”.

“Oggi sono molto felice – ha commentato Mina Welby dopo la lettura della sentenza, ricordando il marito – Quel 20 dicembre del 2006 prima di morire Piergiorgio mi disse: promettimi che andrai avanti e che non ti fermerai. E oggi posso dirgli che sono andata avanti e che non mi fermerò mai“. Poi ha ricordato che l’obiettivo rimane quello di ottenere la legge: “Serve per garantire un diritto a tutti i cittadini. Non possiamo più accettare che ci sia una discriminazione sulla base della tecnica con cui sei tenuto in vita, e non invece un diritto di libertà che dipende dalla tua volontà e dalla tua sofferenza”. Poi ha ripetuto che l’azione di disobbedianza civile continuerà fino a quando il Parlamento non si sarà assunto la responsabilità che fino ad ora non si è assunto”.

Prima dell’udienza Welby aveva detto di sentirsi “serena” e che i suoi pensieri erano rivolti alla mamma di Davide Trentini: “La mia battaglia è per lei. Se verrò condannata voglio andare in carcere. Ma temo, siccome ho 80 anni, che mi diano i domiciliari. Allora protesterò perché se sono pericolosa voglio essere messa in condizione di non nuocere”. “Ci stiamo preparando al rispetto di qualsiasi decisione che uscirà da questa corte che non è l’obiettivo né tanto meno il bersaglio della nostra azione di disobbedienza civile – aveva dichiarato Cappato- Il nostro interlocutore prima e dopo questa sentenza resterà sempre unicamente il Parlamento, grande assente politico sul tema dell’eutanasia”. Il 29 dicembre scorso, in virtù della decisione della Corte costituzionale, la Corte d’assise di Milano aveva assolto Cappato perché il fatto non sussiste bell’ambito del processo per la morte di Dj Fabo.

Il processo in questione ha un valore aggiuntivo rispetto al caso Dj Fabo. La sentenza emessa a settembre 2019 dalla Consulta ha dichiarato non punibile l’accesso al suicidio assistito in presenza di quattro elementi. Non è punibile, infatti, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente “che sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetto da una patologia irreversibile” e fonte “di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili”, ma anche che sia “pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

Secondo l’associazione Luca Coscioni sono tre i requisiti certamente posseduti da Davide Trentini (patologia irreversibile, fonte di sofferenze intollerabili e capacità di intendere e volere), mentre resta da dimostrare la prima condizione prevista. La difesa ha presentato in questo senso una consulenza per dimostrare che Trentini era sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, nonostante non fosse attaccato ad una macchina come dj Fabo. Pe questo oggi la procura aveva chiesto un rinvio dell’udienza che per la corte ha respinto. Il pm aveva chiesto al collegio dei giudici “o una nuova consulenza d’ufficio, o l’acquisizione di nuove testimonianze, ovvero quella degli operatori Avi che secondo la perizia avrebbero insegnato alla madre di Trentini le operazioni meccaniche di evacuazione corporea, considerate dalla difesa trattamenti di sostegno vitale, e quella dei due infermieri che accompagnarono Trentini in Svizzera in ambulanza”.

“Questa formula di assoluzione applica pienamente la sentenza della Corte costituzionale”. Lo ha detto l’avvocato Filomena Gallo, difensore di Marco Cappato e segretario dell’associazione Luca Coscioni. “Non sono stati condannati – spiega Gallo – perché l’aiuto fornito a Davide Trentini è stato reso legittimo” dalla Consulta dello scorso settembre: “Anche i trattamenti farmacologici, quindi non solo i macchinari, rientrano da oggi nei requisiti previsti per poter interrompere le proprie sofferenze. È una sentenza importante, farà da precedente per tanti malati che in questo momento potrebbero essere stati discriminati perché non erano ancora attaccati a un macchinario”.

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