Lui è Marco Cherubini, vive al Cinquale, una frazione di Montignoso, in provincia di Massa Carrara, è stato per anni il titolare della pensione “La rondine”, e la mattina a colazione, tra marmellate e altre delizie trovavi anche la sua focaccia, fatta dalle sue mani, una focaccia lieve e forte come le mani di Marco. La Versilia senza la vicinanza di Montignoso sarebbe un luogo fatuo, con bei tramonti e tanti russi in giro pronti a lasciare mance di migliaia di euro.

Montignoso e Cinquale sono invece una sorta di covo di personaggi western o rock, si ha ancora la sensazione di qualcosa da conquistare, di un territorio non addomesticato, dove circola un’energia che non si lascia imbrigliare, si ha sete di ignoto e di Candia, un vino del posto, e la “cecina” è uno spuntino che sfida tutti gli aperitivi del lungomare, e a me piace restare sospeso tra la polvere di stelle e la polvere di marmo, tra l’autenticità delle persone come Marco e l’orda chic dei milanesi in vacanza o dei russi amici di Putin.

Marco è un mix curioso di fashion, rock e altrove. Lui è sempre in un altro luogo, vivere è un costante alibi per un delitto che si chiama: conoscenza. Ogni mattina si reca con il suo portatile al bar “Merusi” di Cinquale, il suo quartier generale fatto di tazzine di caffè e finestre spalancate sulle Apuane. Qui Marco vive il suo rapporto con gli altri, nel virtuale di internet e nella realtà gorgheggiante del bar.

Nulla dies sine linea (nessun giorno senza una linea) è il suo motto ideale, lo rispecchia pienamente, ogni giorno impara qualcosa di una lingua, ogni giorno è l’occasione per accrescere il suo sapere che tende a essere universale, vorrebbe impadronirsi di tutte le lingue del mondo per poi tuffarsi esausto in un silenzio finalmente pieno: l’alfabeto dell’Eterno.

In Marco ci sono ferite, mancanze, sentieri esotici, lame di coltello e precipizi fioriti, e soprattutto racconti di una vita spesa in giro per il mondo, alla ricerca di un’intimità fuggitiva con le sorgenti della vita. La vita è pericolosa, la vita fa male, proprio come la verità. Il masochismo di Marco non è fine a se stesso, c’è sempre un aspetto conoscitivo nelle sue azioni, vuole conoscere il limite della sua sopportazione al dolore, e attraverso la mente controllare la soglia del dolore, non c’è alcuna forma di esibizionismo, si tratta solo dell’avventura della conoscenza che può assumere anche forme apparentemente assurde come il limone negli occhi.

Avete presente il limone negli occhi? Lo preferite sul pesce? Anche io. Anche Marco, ma lui ogni tanto si purifica lo sguardo strizzandosi mezzo limone per occhio a palpebra spalancata. In un primo violentissimo momento l’occhio diventa tutto rosso, poi bianco e puro come l’occhio di un bambino, questo lo so perché me lo ha detto Marco, non certo per esperienza diretta, un giorno mi finì per sbaglio mezza goccia di limone in un occhio mentre ero al ristorante e dovetti scappare in bagno a lavarmelo sotto l’acqua, non fu per niente piacevole!

Pensate a quello che riesce a sopportare Marco quando si strizza mezzo limone per occhio! Ripeto, può sembrare una cosa assurda, ridicola, senza senso, ma ricordiamoci che il confine tra il sublime e il ridicolo è labile, è un gioco a fil di lama, come il ritratto che ho fatto a Marco Cherubini. Questo mi sembra di avere capito: Marco cerca sempre la sua infanzia, quindi di tornare bambino.

Il suo imparare lingue sempre nuove è come volere tornare tra i banchi di scuola, è il suo modo di continuare a giocare con una vita che sa essere crudele. Anche attraverso l’aspra verità che si cela nel fuoco e nella vertigine bianca di un limone negli occhi: è un viaggio verso le sorgenti intatte del proprio essere.

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