La pronuncia si conclude con tre dichiarazioni di infondatezza e quattro di inammissibilità. Inammissibile la questione che riguarda l’addebito ad Autostrade dei costi e degli espropri. "Il grave e ragionevole deficit di fiducia insorto", si legge nella sentenza, "non può trovare un correttivo contrario nel principio della più ampia partecipazione alle gare"
L’urgenza di avviare i lavori per il ripristino del tratto autostradale e i dubbi sull’opportunità di affidarli al concessionario alla luce della gravità del crollo del Ponte Morandi. Ma anche i primi risultati delle indagini amministrative sulla vicenda. Sono queste, in estrema sintesi, le ragioni che hanno portato con il decreto Genova all’estromissione di Autostrade per l’Italia dalle attività di demolizione e ricostruzione del Ponte. È quanto si legge in un passaggio della motivazione con cui la Corte costituzionale, nella sentenza 168 appena depositata oggi (redattore Augusto Barbera), spiega perché il Decreto impugnato dal Tar della Liguria non è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo.
L’8 luglio la Consulta – chiamata in causa dopo che Aspi aveva fatto ricorso contro il decreto al Tar Liguria – aveva sentenziato che non erano fondate le questioni relative all’esclusione dell’azienda dalla procedura negoziata per scegliere le imprese a cui affidare la ricostruzione: ora dalle motivazioni è possibile comprendere nel dettaglio come i giudici sono arrivati alla decisione.
Come in parte già anticipato prima del deposito, la pronuncia si conclude con tre dichiarazioni di infondatezza e quattro di inammissibilità. Inammissibile, in particolare, è la questione che riguarda l’addebito ad Aspi dei costi della ricostruzione e degli espropri, poiché il Tar non ha chiarito a che titolo è stato effettuato l’addebito: se a titolo definitivo, oppure di mera anticipazione provvisoria, in attesa di eventuali accertamenti in merito a responsabilità risarcitorie della concessionaria. La sentenza spiega che l’estromissione di Aspi dalle attività di demolizione e ricostruzione del viadotto si è compiuta attraverso due passaggi. Anzitutto, il legislatore ha previsto che, per tali attività, non fosse attivata la convenzione di cui Aspi è parte e, dunque, che non fosse fatto valere l’obbligo di quest’ultima di fornire le prestazioni di demolizione e ricostruzione, nonostante Aspi ne avesse la volontà. In secondo luogo, si è precluso al commissario straordinario, incaricato di provvedere alla realizzazione dei lavori, di avviare una negoziazione con Aspi per l’affidamento dei lavori stessi.
La Corte ha ritenuto che ciascuno di questi due passaggi si fondasse su ragioni obiettive, congruenti o connesse con quelle esplicitate, sia pure in modo non sempre limpido, nel decreto-legge. La decisione di non attivare la convenzione è dipesa sia dall’urgenza di avviare i lavori per ripristinare tempestivamente un tratto autostradale essenziale per i collegamenti nella regione, sia dai dubbi insorti sull’opportunità di affidare quei lavori al concessionario, alla luce della gravità dell’evento verificatosi e delle prime risultanze delle indagini amministrative. D’altra parte, l’esclusione di Aspi dalla gara per l’affidamento dei lavori, oltre a essere una naturale conseguenza di ciò, è coerente con la normativa europea in materia di contratti pubblici ed è stata anche funzionale a una maggiore apertura alla concorrenza del settore delle costruzioni autostradali.
“Il grave e ragionevole deficit di fiducia insorto nei riguardi di Aspi”, si legge nella sentenza, “non può trovare un correttivo contrario nel principio del diritto europeo e nazionale della più ampia partecipazione alle gare, di per sé già compresso nell’ambito delle procedure negoziate senza pubblicazione”.