Ha un regolare contratto di lavoro con permesso di soggiorno ma quando, dopo avere partorito tre gemelli, ha richiesto l’assegno di maternità e quello per nuclei familiari con almeno tre figli se l’è vista negare dal Comune di Castel Volturno, dove risiede. Il motivo? Non era in possesso “del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo”. Il caso riguarda una donna nigeriana che, a fronte della decisione dell’amministrazione, si è rivolta al giudice del lavoro del tribunale di Santa Maria Capua Vetere che le ha dato ragione, accertando la condotta “discriminatoria” del Comune ai sensi delle norme comunitarie; l’ente locale è stato così condannato insieme all’Inps, che avrebbe dovuto erogare i fondi.

La donna è una lavoratrice nigeriana, già bracciante agricola e donna delle pulizie nonché madre di cinque figli che, come tanti altri ragazzi di origine africana che vivono a Castel Volturno, sono tutti nati in Italia ma ovviamente non hanno la cittadinanza. Il Comune in provincia di Caserta è probabilmente tra i “ghetti” più grandi d’Europa, con circa 15mila migranti non regolari e un numero più esiguo, circa cinquemila, di extracomunitari regolari. Lei rientra tra questi ultimi.

La richiesta al Comune – La donna ha presentato domanda per aver accesso ai benefici rispettando i termini di legge (sei mesi dal parto trigemellare), ma non ha ricevuto risposta dal Comune. Una volta andata di persona negli uffici dell’amministrazione locale, le hanno comunicato che non aveva diritto agli assegni, pur avendo un lavoro regolare e pagando, dunque, le tasse. Il giudice Rosa Capasso, nell’ordinanza di qualche giorno fa, ha così ordinato “al Comune di Castel Volturno di cessare immediatamente la condotta discriminatoria posta in essere” e di riconoscerle sia “l’assegno di maternità” che quello “per i nuclei familiari con almeno tre figli minori”, sussistendo, in entrambi i casi, i requisiti di legge, tra cui un reddito basso.

Le ragioni giuridiche – Secondo il giudice, la norma invocata dal Comune sul permesso di lungo soggiorno non si applica, in quanto “crea una disparità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri“, mentre nel caso specifico va applicata direttamente la normativa comunitaria, ovvero l’articolo 12 della direttiva 98 del 2011, secondo cui i lavoratori stranieri “beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne i settori della sicurezza sociale“. “Pacifico – scrive il giudice – è che le prestazioni richieste dalla ricorrente rientrino nel settore di sicurezza sociale definito nel regolamento CE n. 883/2004, trattandosi di prestazioni volte a sostenere i redditi delle famiglie, al fine di contribuire alle spese per il suo sostegno”. Gli avvocati della donna, che parlano di una “decisione innovativa, tra le prime in Italia“, spiegano di aver seguito, “nell’istruzione di questo giudizio, le indicazioni della Corte di Giustizia Europea. I lavoratori, siano italiani oppure stranieri, hanno il diritto di vedere riconosciuti i loro benefici e di essere tutelati dalle leggi dello Stato”.

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