Idrogeno
Altra mossa che lascia molte perplessità della strategia di decarbonizzazione Eni è la decisione di puntare sull’idrogeno “blu”, generato dal metano con reazione di reforming con vapore e cattura e stoccaggio della CO2 prodotta, invece che produrre idrogeno “verde” con l’elettrolisi dell’acqua alimentata da energia rinnovabile. L’Ue vuole incrementare gli investimenti sull’idrogeno, sotto forma di incentivi pubblici al settore. Per questo Descalzi ha inviato una richiesta ai vertici della Commissione Ue, dove si chiede l’adozione di una strategia europea basata su un approccio “inclusivo” che tenga in considerazione tutte le tipologie di “idrogeno pulito”, e non solo quello verde.
Richiesta spinta dal maxi-investimento nel hub di stoccaggio di CO2 di Ravenna, che potrebbe diventare il più grande al mondo (300-500 Mton catturabili) necessario per la produzione di idrogeno blu. “Non c’è energia rinnovabile in eccesso”, spiega Eni per giustificare l’uso del gas “ed è meglio usare le rinnovabili per spiazzare fonti inquinanti come il carbone”.
Secondo Francesco Starace, Ceo di Enel “eviterei di pensare che si possa produrre idrogeno con tecnologie legate alla cattura della CO2: sarebbe uno spreco di valore e di risorse. Se poi qualcuno ci crede – ha aggiunto il manager – dovrebbe comunque farlo con fondi suoi, senza chiedere incentivi” . Per Gianni Silvestrini “nella fase di lancio dell’idrogeno a grande scala, con investimenti per almeno 140 miliardi di euro, sostenuti dai piani di rilancio post Covid, l’Eni rischia di fare la scelta errata. Francia e Germania investono con decisione sull’idrogeno verde ottenuto da elettrolizzatori alimentati da rinnovabili mentre l’Italia sceglie una tecnologia sbagliata”.
Economia circolare
Nel settore downstream, quello della raffinazione delle materie prime per il loro utilizzo energetico, Eni ha avviato la riconversione della raffineria tradizionale di Porto Marghera in bio-raffineria, attraverso l’utilizzo di tecnologie proprietarie che sarà attiva dal 2021 e della raffineria di Gela, riconvertita in bio-raffineria e messa in funzione a fine 2019. Quest’ultimo sarà il più innovativo impianto per la produzione di biocarburanti in Europa, che potrà utilizzare cariche fino al 100% di materie prime di seconda generazione (ovvero da fonti non alimentari).
Eni ribadisce: “Continueremo a produrre biodiesel da olio di palma fino al 2023, gradualmente riducendolo, sostituendolo con olio di frittura e altri oli vegetali. Il lato positivo dell’ecofining (la raffinazione di biomateriali, nda) consente di alimentare l’impianto con ben 150 feedstock alternativi, diversificando il rischio a tutte le fonti che possono essere disponibili”. Ma non mancano le critiche.
Per Andrea Poggio di Legambiente “il sospetto è che l’olio di palma venga sostituito dalla soia e dai sottoprodotti come Pome e Pfad (dei residui del processo di raffinazione del palm oil). Questo avrebbe impatti sul clima ancora più forti del petrolio”.
Che sarà dunque della strategia di decarbonizzazione di Eni? Molto dipenderà dal contesto di mercato e dalla congiuntura economica. Di fronte al crollo dei prezzi del petrolio e al Covid-19 Eni ha già ridotto gli investimenti per la parte relativa agli idrocarburi di circa il 30% per il 2020-21, senza toccare quelli per il Piano di decarbonizzazione. Il piano di taglio alla produzione potrebbe scendere ben sotto il 30%, con importanti progetti completamente fermi (come il Gnl in Mozambico).
Occorre aspettare i risultati del secondo trimestre (previsti a inizio agosto) per capire quando e quanto si ridurrà. Per chi come Italian Climate Network si è mobilitato per chiedere azioni urgenti contro i cambiamenti climatici, sarà imperativo tenere una forte pressione su Eni.