È stata pronunciata la prima sentenza di primo grado per uno dei cinque processi per cui è chiamato a difendersi. L'accusa era di aver sottratto 4,5 miliardi di dollari dal fondo sovrano del Paese, soldi poi riciclati tra l'altro finanziando film di Hollywood e acquistando hotel, uno yacht di lusso, opere d’arte, gioielli
Si è concluso con una condanna a 12 anni per corruzione, abuso di potere, riciclaggio di denaro e appropriazione indebita il primo processo a carico dell’ex premier della Malesia Najib Razak per lo scandalo finanziario legato al fondo sovrano malese 1MDB (1Malaysia Development Berhad) dal quale sparirono 4,5 miliardi di dollari dal 2009. L’Alta Corte di Kuala Lumpur gli ha inoltre ordinato di pagare una multa di 210 milioni di ringgit (circa 42 milioni di euro). Pochi giorni fa Goldman Sachs ha raggiunto un accordo da 3,9 miliardi di dollari con il governo malese per chiudere i conti sullo scandalo, in cui era stata chiamata in causa per le “false dichiarazioni” rilasciate in relazione alle vendite di obbligazioni del fondo.
Il 67enne Najib ha già dichiarato di voler ricorrere in appello, sentendosi sicuro che questa è “l’opportunità per me di pulire il mio nome”, ha scritto su Facebook, nonostante non abbia mai negato di aver ricevuto 700 milioni di dollari su conti bancari a lui intestati provenienti da enti controllati dal fondo, puntando piuttosto il dito contro un presunto “sabotaggio politico” ed insistendo sul fatto di non avere mai utilizzato fondi governativi per scopi personali.
La storia dello scandalo risale al 2009, quando Najib venne eletto primo ministro della Malesia. Dopo pochi mesi, da premier, Najib istituì il fondo 1MDB per accelerare lo sviluppo economico della Malesia. Poi nel luglio del 2015 venne accusato apertamente dal Wall Street Journal di aver ricevuto su un suo conto almeno 700 milioni di dollari provenienti dal fondo e iniziano a sollevarsi le prime critiche. Per bloccare qualsiasi tipo di protesta, il primo ministro decise di licenziare il suo vice, molto critico nei confronti dell’operato del premier, ovvero l’attuale capo del governo Muhyiddin Yassin. Nel settembre dello stesso anno venne trovato morto il procuratore generale che si era messo a investigare su di lui. Ma nel frattempo il fondo aveva accumulato miliardi di debiti e gli investigatori statunitensi iniziavano a sollevare i primi dubbi, arrivando quindi ad accusare il premer di aver rubato almeno 4,5 miliardi di dollari dal fondo, soldi poi riciclati dai soci di Najib per finanziare film di Hollywood e acquistare hotel, uno yacht di lusso, opere d’arte, gioielli e altre stravaganze.
L’opposizione, quindi, iniziò a scendere in piazza chiedendo le dimissioni di Najib che però rimane al potere fino al 2018 quando la sua coalizione perse per la prima volta le elezioni generali dall’indipendenza della Malesia nel 1957. A seguito della sconfitta, da maggio del 2018 si ripresero le indagini su Najib Razak, la moglie e i loro sostenitori, mentre alla coppia veniva proibito di lasciare il Paese. Nel corso del 2018 furono formulate le prime accuse dirette a Najib fino a raggiungere il totale attuale di 42, divise in cinque processi. Il primo dei quali è iniziato il 3 aprile del 2019 e si è concluso con le prime condanne a carico dell’ex presidente. Per il giudice del processo, Mohamad Nazlan Ghazali, Najib è colpevole di aver abusato della sua posizione per ricevere una tangente per l’approvazione di una garanzia del governo per miliardi di prestiti a SRC International, una compagnia sussidiaria del fondo 1MDB, commettendo una violazione criminale della fiducia e accettando proventi da attività illecite. Inoltre è ritenuto colpevole di aver trasferito 42 milioni di ringgit ($ 9,8 milioni) da SRC International nei suoi conti bancari attraverso società intermedie.
In sua difesa, Najib ha dichiarato di essere stato ingannato dai banchieri “canaglia” guidati dal finanziere fuggiasco malese Low Taek Jho, identificato dagli investigatori come la mente nella saga di 1MDB. Sui 700 milioni di dollari trasferiti sul suo conto, invece, i legali dell’ex premier lo hanno sempre difeso dicendo che si trattava di soldi provenienti da una donazione dall’Arabia Saudita organizzata dallo stesso Low. Per il giudice, però, tale argomento non era altro che una “fabbricazione elaborata ma debole”, convincendosi, alla fine, di “condannare l’imputato per tutte e sette le accuse”.