Pensando al futuro, la speranza si materializza nella parola “rinascita”. Discuterne quando il mondo è ancora in piena pandemia, con l’Italia che difende a fatica i progressi fatti nel contenimento del pericolo, è forse troppo presto. Ma tutti speriamo che la diffusione del Covid-19 si limiti a una sola ondata, risparmiando all’umanità l’esperienza della Spagnola, con le sue quattro ondate dalla primavera del 1918 all’inizio del 1920, che provocarono da 25 a 50 milioni di vittime, contro i 10 milioni di soldati e un milione di civili morti in guerra nel primo conflitto mondiale.
La gente anela a rinascere con sentimenti contrastanti. Vorrebbe un mondo migliore di quello in cui l’umanità si è prostrata a una catastrofe annunciata ma non prevista, che ha colto tutti inermi e impreparati. Nello stesso tempo, la gente materializza il concetto di rinascita nel ritorno tal quale, puro e semplice, rassicurante e consolatorio al passato prossimo.
La seconda aspirazione è quella con le maggiori probabilità di vincere e convincere, nonostante l’auspicio del World Economic Forum di un “great sustainabale reset”. E la pubblica opinione, desiderosa di un futuro sulle orme del passato, identifica nei soldi la soluzione ad antichi e odierni mali. Nello specifico, la manna divinamente sparsa sul nostro futuro prossimo dalla controversa manina dell’Unione Europea.
La corsa ad accaparrarsi fette più o meno spesse della succulenta bistecca riservata all’Italia è subito iniziata. Sarà il valzer delle “grandi opere” ad affermarsi quale ballo della rinascita? Preoccupa la fretta. La necessità dell’urgenza potrebbe sovrastare la ragione dell’importanza, favorendo il ricorso ai famosi, seducenti, eccitanti “progetti nel cassetto”. L’Abc sembra caduta nell’oblio, inventariata tra le cose inutili.: l’analisi che confronta i benefici con i costi rimane uno dei capisaldi della normativa europea, ma è stata del tutto accantonata dalle nostre parti, a favore di più alti e nobili criteri di scelta progettuale.
I “progetti nel cassetto” sono spesso scientificamente poveri, redatti con criteri obsoleti sotto il profilo tecnico, affidati in base a motivazioni estemporanee, dettate da episodi contingenti messi in prima pagina dalla pompa mediatica. Progetti di qualità mediocre, spesso evidenziata dai pareri del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, quasi sempre disattesi dalla stessa committenza pubblica in virtù dell’emergenza. Frutto di incarichi più attenti all’apparenza e alla condiscendenza che a reale competenza. Per fortuna, tutti questi progetti giacevano nei misteriosi ma provvidenziali cassetti delle pubbliche amministrazioni, che andrebbero chiusi a chiave anziché riaperti con pelosa fiducia.
L’improvvisa manna post-pandemica cadrà probabilmente anche su un settore fragile come la difesa e conservazione del suolo e la prevenzione delle catastrofi naturali. La soluzione della pluricentenaria questione idrogeologica è alle porte? Come sempre si tratta di una questione di soldi, da quanto si evince dall’intervista rilasciata il 24 luglio 2020 al quotidiano Repubblica dal ministro competente: “È assurdo, abbiamo i fondi contro il dissesto ma non li spendiamo”. E poi: “Ci sono 11 miliardi da usare, però i Comuni non hanno i soldi per fare i progetti”.
In apparenza, quindi, non si tratta di una questione di soldi. Invero, i soldi sono la cometa di riferimento dell’Italia in dissesto, come scrissi anni fa in Bombe d’Acqua. Alluvioni d’Italia dall’unità al terzo millennio: “Per capire [la ratio degli interventi per la difesa del suolo] basta seguire il profumo dei soldi”. Era un libro didascalico un po’ troppo greve per gli obiettivi di divulgazione che si proponeva, forse perché si sforzava di integrare concetti di fisica, geologia e ingegneria con aspetti legati all’urbanistica, all’architettura, all’economia, alla finanza e alla politica.
In chiusura, indicavo una decina di punti da prendere in considerazione per sviluppare politiche efficaci ed efficienti. Furono condivisi con alcuni colleghi che hanno speso con profitto la propria vita professionale e scientifica in materia di idrologia, idraulica, geologia, geomorfologia, urbanistica. Specialisti lontani dal pressappochismo nella società dello spettacolo, che viene premiato dai media in ogni circostanza, dalla virologia all’ingegneria civile.
Tra le cose da fare, la prima necessità è acquisire la consapevolezza del cambiamento climatico. Ogni volta che si verifica un evento meteorologico estremo, la gente si chiede “è stato causato dai cambiamenti climatici?” Una domanda inutile, perché la domanda da porsi è: “Quanto è più probabile che questi eventi accadano in un clima che cambia?” Quindi, se un evento siffatto aveva una probabilità annua dell’uno per cento e, ora, questa probabilità è diventata il 2%, potremo dire che la possibilità che ciò accada è aumentata considerevolmente (raddoppiata) a causa del cambiamento climatico.
Questa consapevolezza è fondamentale per potersi preparare agli eventi meteorologici estremi del futuro. Migliorare la prevedibilità, ossia la misura della possibilità che un’alluvione accada, è un passo importante, perché diminuisce l’incertezza con cui valutiamo la pericolosità, ossia la probabilità che un’alluvione possa colpire il territorio e consolida la coscienza collettiva che ciò possa davvero accadere. Nei prossimi post di questo blog, richiamerò e metterò in discussione gli altri nove punti.